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Agli italiani piacciono i Btp

I risparmiatori hanno appena comprato dallo Stato oltre 18 miliardi di euro in Buoni del tesoro poliennali. Una cifra record che dipende certamente dalle condizioni vantaggiose della sottoscrizione. Ma che indica anche una fiducia nelle prospettive del Paese. E che ha effetti positivi sul nostro debito pubblico.

Gli italiani fanno credito (allo Stato e quindi a sé stessi) e diventano «Btp people». Definizione evoluta e corretta di quelli che furono i celebri «Bot people» negli anni Settanta del secolo scorso. In tempi d’inflazione che erode i conti correnti e di tassi stellari che incendiano i mutui, ma che non vengono compensati da altrettanto significativi rendimenti dei depositi, i Buoni del tesoro poliennali sono l’ombrello scelto dai risparmiatori. La Banca centrale europea in cuor suo sa che la manovra sui tassi è stata pensata anche per impinguare i patrimoni delle banche che, non a caso, in Europa nel 2023, hanno messo in cascina profitti per oltre 100 miliardi di euro. In Italia il «raccolto» è stato generoso - superiore ai 22 miliardi -, ma il malato da curare senza dirlo erano (e in parte restano) alcuni istituti di credito tedeschi. È per questo motivo che Isabel Schnabel, membro del board di Francoforte per conto della Bundesbank, orienta la numero uno della Bce Christine Lagarde e la porta lungo i sentieri impervi dei tassi d’interesse in continua salita. Ci sono segni evidenti di rallentamento dell’inflazione che segna il 2,6 per cento in area euro. Si discosta di appena mezzo punto dal target istituzionale della Banca; eppure madame Lagarde non annuncia alcun taglio, nonostante sia evidente che questo cappio finanziario abbia strozzato l’economia con un’attesa di crescita del Pil continentale non oltre lo 0,7 per cento.

Ecco che in un simile scenario gli italiani sono tornati agli investimenti di un tempo e hanno decretato un successo senza precedenti del Btp Valore pubblico: un salvadanaio in formato famiglia. I critici sostengono che hanno avuto l’illusione di partecipare a una «partita win win» - come dicono gli anglofanatici - perché ci guadagna il risparmiatore e anche lo Stato. Ma a ben vedere, sostengono sempre gli scettici, non è così. In economia, vige la teoria dei vasi comunicanti: se qualcuno profitta qualcun altro ci rimette. Dunque se il Btp Valore rastrella 18.316,424 milioni di euro che è la cifra record per una singola emissione - afferma il ministero dell’Economia e delle finanze - da qualche parte quei soldi sono usciti. Sicuramente dal risparmio gestito, che inarca il sopracciglio e contabilizza all’inizio di anno un saldo negativo: meno 2,6 miliardi di raccolta in gennaio.

Epperò i fondi obbligazionari hanno rastrellato 5,5 miliardi e Poste Italiane procede di gran carriera: si è vista affidare 3,7 miliardi. Cosa significa questo? Che i connazionali vogliono andare sul sicuro. A dimostrazione c’è il numero dei contratti. I sottoscrittori del Btp Valore sono stati 656.369 che porta il taglio medio di acquisto al di sotto dei 27 mila euro. Facendo una simulazione, si vede che se si sono investiti trentamila euro si portano a casa interessi netti del 3,52 per cento e, scontando una fiscalità di vantaggio del 12,5 per cento contro quella ordinaria sugli strumenti finanziari che è del 26, si arriva a incassare un rendimento di 1.056 all’anno per il primo biennio; fino a salire a quasi 1.400 euro per i tre anni successivi, se si mantiene il titolo a scadenza. Chi ha criticato il Btp Valore - per esempio Massimo Famularo, uno dei manager di maggior spicco nel private banking - sostiene che lo Stato ha fatto concorrenza «sleale» alle banche con la fiscalità di vantaggio applicata ai titoli. Altri come Gianluca Garbi, amministratore delegato di Banca Sistema, individuano una concorrenza dello Stato alle imprese. La Borsa di Milano però è andata oltre i 33 mila punti, che è una quota degli indici da record. Anche se l’obbligazionario cresce, evidentemente chi ha molto da investire scommette sull’azionario.

Lo Stato che raccoglie risparmio fa comunque paura. Così è stato molto discusso lo spot pubblicitario che ha promosso questa emissione. In scena, due coppie di pensionati a cena e una di queste annuncia agli amici che andrà in crociera proprio grazie alla sottoscrizione del Btp Valore. Troppo facile? Alcuni operatori del risparmio gestito hanno obiettato: così non si fa educazione finanziaria perché gli investimenti vanno differenziati. Il Codacons ha presentato persino un esposto all’Antitrust. Ma a veder bene sette giorni di crociera nel Mediterraneo si acquistano a 750 euro a persona. Per partire in due bastano gli interessi su un investimento da 50 mila euro. È la soglia che il Mef vuole porre per escludere dal calcolo dell’Isee i titoli di Stato posseduti. Come si sa, l’indicatore di situazione economica è il lasciapassare per moltissime prestazioni di sostegno che ci sono in Italia. Il governo ha deciso che fino a cinquantamila euro i titoli di Stato posseduti non entrano nel calcolo del patrimonio e dunque l’Isee non subisce variazioni. Il decreto è in via di definizione, ma la scorsa settimana il dicastero di Giancarlo Giorgetti ha chiarito che l’esenzione vale anche per chi percepisce l’assegno di inclusione - di fatto è ciò che resta del reddito di cittadinanza - e dunque tutti possono non dichiarare i titoli ai fini Isee. Il che ha reso il Btp Valore ancor più appetibile.

Davvero sembrano tornati i tempi dei «Bot people». La «moda» di comprare titoli di Stato a brevissima scadenza che avevano rendimenti molto alti si è affermata nei primi anni Settanta, dopo la prima crisi petrolifera. Era uno stratagemma che gli italiani avevano trovato per difendersi dall’inflazione. All’inizio degli Ottanta esordì il Btp, diventando subito appetibile. Dove sta la differenza? Nei tempi del rimborso. La Banca d’Italia, d’accordo con il Tesoro, tendeva ad allungare la scadenza dei titoli. Nel 1982 il governatore Carlo Azeglio Ciampi metteva in evidenza: «La copertura del fabbisogno del settore pubblico ha visto accentuarsi la tendenza al finanziamento sul mercato e all’allungamento delle scadenze: sono stati collocati titoli a medio termine per 2.368 miliardi di lire contro 5.820 nel 1981, ed è aumentata da 3,5 a 4,1 mesi la vita media residua a fine anno dei Bot, i cui collocamenti sono ammontati a 28.840 miliardi». Si parlava di lire. Ma quella tendenza non si è più interrotta; anzi, con l’aumentare vertiginoso del debito pubblico, si è cercato di estendere quanto più possibile il rimborso dei Buoni.

Per avere un quadro complessivo è bene ragionare sui numeri attuali: in Italia abbiamo accumulato 2.863 miliardi di euro di debito e dobbiamo rinnovarne circa 400 miliardi ogni 12 mesi, con una scadenza media dei titoli 6,97 anni (si è un po’ accorciata). Con i tassi portati dalla Bce al 4,50 per cento lo Stato spende per interessi 50 miliardi in più. In tali condizioni ricorrere al Btp Valore è una strada quasi obbligata. Che però porta dei vantaggi. Intanto rimette in circolo nell’economia italiana una parte, ancorché esigua, della spesa per interessi, ma soprattutto riaccende nei cittadini l’attrazione per i titoli del «fardello» pubblico. Sembra dunque che ci si vada incamminando su una via nipponica alla sostenibilità del debito. Quello del Giappone, infatti, tocca gli 8.600 miliardi di dollari, pari al 260 per cento del Pil; ma esso è detenuto al 92 per cento dagli stessi cittadini del Sol levante. Gli italiani paiono aver ripreso il percorso abbandonato con l’avvento dell’euro e dei tassi negativi, che avevano dirottato verso altri tipi d’investimento. Ma oggi il 73 per cento del debito pubblico (calcolando anche gli oltre 18 miliardi raccolti tra il 26 febbraio e il primo marzo scorsi soprattutto) è in mano italiana tra banche, aziende e famiglie. Si tratta circa di 1.700 miliardi, che fanno parte di quella massa di 5.300 miliardi che corrisponde alla ricchezza finanziaria privata del Paese.

Questo investimento è forse l’unico modo per rendere sostenibile il debito nazionale che purtroppo, per effetto del superbonus, solo nel 2024 aumenterà di 14,5 miliardi di euro; e che da qui ai prossimi cinque anni dovrà scontare 150 miliardi di minori entrate fiscali derivanti dai «vantaggi» edilizi. Di certo, se gli italiani continuano a fare credito a sé stessi si sottraggono in parte alla speculazione finanziaria. Lo dimostra lo spread che nelle ultime settimane si mantiene sotto quota 140, un limite di buona sicurezza. Anche perché il nostro è il solo Stato che ha ridotto il debito pubblico - al netto della spesa per interessi - nell’ultimo quarto di secolo. Il Fondo monetario ha redatto la classifica delle nazioni che, dal 1990 a oggi, hanno avuto il maggiore avanzo primario (cioè hanno speso meno di quanto hanno incassato non considerando appunto la spesa per interessi): ci piazziamo all’11esimo posto con una media dell’1,75 per cento. Dunque, un Paese solido. La riprova? Anche gli stranieri hanno comprato più debito pubblico (aumento di 50 miliardi di euro rispetto al 2022), ma a scommettere sull’Italia sono stati proprio i «Btp people». I dati disponibili al novembre scorso dicono che le famiglie avevano nel salvadanaio 382,6 miliardi di Btp: più 123,2 miliardi rispetto al 2022, con un incremento del 47,5 per cento in 12 mesi. E se non è Valore questo...

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