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Macelleria mafia: immagini e parole al Miela di Trieste

Macelleria mafia: immagini e parole al Miela di Trieste

Apre la mostra fotografica dei fotoreporter Lannino e Naccari e sul palcoscenico il giornalista Attilio Bolzoni racconta il suo “vizio di scrivere”

TRIESTE Erano fotografie a colori ma sono state trasformate in immagini in bianco e nero perché il rosso del sangue dei tanti assassinati di mafia ripresi a Palermo da Franco Lannino e Michele Naccari costringeva i visitatori della loro mostra ad abbassare gli occhi. O a guardare altrove perché la devastante veridicità di quelle fotografie toglieva e toglie il fiato. Ma la scelta di trasformare il rosso del sangue in un grigio scurissimo sparso come fosse una pozzanghera sull’asfalto o sui sedili delle vetture, non è riuscito ad attenuare l’impatto emotivo di quei poveri corpi riversi a terra con le gambe aperte e il volto e il petto devastato dai proiettili.

Quaranta fotografie con questo contenuto saranno esposte a partire da oggi, 14 marzo, alle 17, all’interno del Teatro Miela per raccontare, a 1500 chilometri da Palermo, la carneficina che si è consumata nel cosiddetto “Triangolo della morte” a partire dagli Anni Ottanta. La mostra ha per titolo “Macelleria mafia” e potrà essere visitata in una sala appartata del teatro, lontana dagli usuali percorsi. In sintesi chi vuole vederla dovrà fare una precisa scelta, raggiungere il cosiddetto “ridotto” e lì si troverà immerso nelle immagini della morte e del dolore.

“Mille morti in tre anni” spiega Enzo D’Antona, già direttore de Il Piccolo, ora al vertice della cooperativa Bonaventura che gestisce il teatro Miela. Lui la guerra di mafia raccontata da queste immagini, l’ha vissuta in prima persona come cronista del quotidiano “L’Ora” di Palermo che fin dalla sua comparsa in edicola si occupò delle vicende di mafia ma che nel 1992 cessò definitivamente le pubblicazioni per gli insanabili contrasti sorti tra la cooperativa che lo gestiva e i fiduciari del Partito comunista che di fatto ne era il proprietario.

Dopo l’inaugurazione della mostra fotografica dei due reporter palermitani, sul palcoscenico del “Miela”, alle 18, Attilio Bolzoni, decano dei giornalisti antimafia ed ex inviato di Repubblica, presenterà al pubblico assieme a Marco Gambino lo spettacolo “Diario di un giornalista controvento - Il vizio di scrivere”, un lavoro tratto dal suo libro testimonianza “Controvento, racconti di frontiera”.

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Anche Bolzoni affronterà il problema mafia nell’ambito di un impegno civile che da un paio d’anni è diventato uno dei motivi conduttori della programmazione del teatro ed è evidente che le due manifestazioni costituiscono un’impressionante testimonianza giornalistica e un documento storico sulla violenza mafiosa. È qualcosa di emozionalmente ancora più forte del materiale visivo realizzato negli anni ruggenti del gangsterismo americano.

Franco Lannino e Michele Naccarine hanno fotografati tanti morti, in gran parte “soldati semplici” della mafia. Lo hanno fatto rischiando di persona non solo fisicamente. Questo lo si capisce facilmente. Ma hanno affrontato anche altri rischi: quello dell’indifferenza, del cinismo e dell’assuefazione a una “macelleria” quasi quotidiana. Per anni hanno messo in gioco per realizzare questo reportage il loro stesso equilibrio mentale perché pochi, pochissimi possono reggere la continua visione di tanto sangue, di tanto dolore. Ed è anche straziante avere a che fare con i vivi, con i parenti delle vittime, con i funerali, con gli arrestati e poi con gli imputati dei processi nati dalle stragi.

Oggi i fotografi che affrontano questi temi vengono visti come qualcuno che fa anche lui violenza e il mestiere di documentare diventa sempre più difficile e pericoloso. Molti, non solo i parenti delle vittime e i loro amici, ritengono che gli omicidi siano fatti privati e non il segno della degenerazione del patto sociale, dello stravolgimento delle regole di convivenza. Ecco perché spesso il giornalista con la macchina fotografica, con la telecamera o con la penna e il taccuino viene percepito come un ficcanaso in affari privati, come un nemico da allontanare con metodi spicci e talvolta violenti.

L’attività criminale della mafia più di mezzo secolo fa era stata documentate sistematicamente per la prima volta da Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Le loro fotografie, oltre ad essere pubblicate su “L’Ora” di Palermo, hanno ampiamente travalicato i confini della Sicilia e dell’Italia, richiamando l’attenzione dei media dell’intero mondo. E i due reporter che presentano le loro immagini al Miela, si inseriscono in questo filone di testimonianza narrativa e di documentazione storica sulla “Macelleria mafia”.

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