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Le Supplici di Euripide: «Un testo molto politico»

Sono due le tragedie antiche intitolate Supplici, quella di Eschilo (463 a.C.) che mette in scena un gruppo di donne richiedenti asilo, e quella di Euripide (423a.C.) su un gruppo di madri di Argo che vengono a reclamare i corpi dei figli morti nella guerra contro Tebe.

Serena Sinigaglia, oggi la regista più importante in Italia, ha scelto quest’ultima versione per lo spettacolo che andrà in scena nella serata di martedì 26 marzo e mercoledì 27 marzo al Verdi di Pordenone.

«Se nella tragedia di Eschilo il problema dell’accoglienza può far pensare a una forte attualità – ci dice Sinigaglia – e in qualche modo lo è, quella di Euripide si presenta come un testo dichiaratamente politico, perché si pone un problema non teatrale, e quindi non emotivo e catartico, ma si fa forte di un interrogativi a mio avviso importantissimi e cioè può esistere una democrazia, quale la differenza tra democrazia e tirannide, può l’uomo veramente costruire una società che non si fondi sulla sopraffazione dell’uno verso l’altro?».

E questo è il primo punto.

«E poi volevo parlare del crollo dei valori dell’umanesimo, del prevalere della forza, dell’ambiguità più feroce, del trionfo del narcisismo e della pochezza che emergono potenti da questo testo per ritrovarsi intatti tra le pieghe dei giorni stranianti e strazianti che stiamo vivendo. In particolare volevo dire del mio sentirmi orfana di valori, come sbiaditi quando non calpestati, di perdita di senso della politica, della crisi dell’idea, oltre che della pratica, della democrazia stessa. Come quella che stiamo vivendo noi da un bel po’ di tempo».

Ma c’è ancora qualcosa che l’ha “presa” del copione di Euripide.

«Si, il fatto fondamentale di questo testo che lo rende così singolare anche rispetto a tutta la produzione euripidea è che le madri che vengono a implorare soccorso ad Atene, anche a costo di scatenare un’altra guerra contro Tebe per la sepoltura dei figli, non sono viste solo come vittime, e anche qui Euripide mette in risalto la contraddizione: queste stesse madri che piangono la perdita dei figli e che vengono a chiederne i corpi, sono le stesse per cui si genera un’altra guerra, dove altre madri piangeranno la morte dei figli».

Come a dire che non c’è via d’uscita dalla logica della violenza?

«Di più, Euripide sembra volerci dire che la terra stessa, che è madre, è nutrita di violenza, che la natura è violenza, quasi l’unico motore della storia fosse la violenza. E questo, anche alla luce dell’oggi, ripeto, lo trovo di una attualità sconcertante».

Veniamo allo spettacolo.

«Intanto ho riaggiustato il testo, nel senso che l’ho spogliato di tutta quella parte di retorica che Euripide doveva mettere sulla sua gloriosa Atene di Pericle e la sua democrazia. Ho messo al centro le sette madri, sette madri dei sette eroi uccisi davanti alle sette porte di Tebe, e le ho affidate a sette attrici (Virginia Zini, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan e Debora Zuin), che agiscono attorno a una sorta di reperto di natura, arida e mangiata dal petrolio al centro della scena». Musiche di Francesca Della Monica e coreografie di Alessio Maria Romano.

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