Fosse Ardeatine, la figlia di una delle vittime: “Strage partorita dall’inutile attentato di via Rasella”
Liana Gigliozzi aveva 3 anni quando il padre fu ucciso alle Fosse Ardeatine. Oggi che di anni ne ha 83 è una delle ultime testimoni di cosa significò quella strage per i familiari, prima che per la storia del Paese. Perché è di questo che ci parla, contattata dopo l’apposizione di oggi della targa al Mausoleo in cui riposano le 335 vittime dell’eccidio: “Per me il rammarico è non ricordare un abbraccio di mio padre, la sua voce, il suo odore. Per me questa cosa è più importante di tutto, poi c’è il resto. Io ho sofferto l’abbandono, perché mio padre c’era e poi l’indomani mattina non c’era più e vai a spiegare a una bimba di tre anni che tuo padre non ti ha abbandonato, ma è stato portato via…”.
Le cerimonie come quella di oggi non le danno conforto?
Della cerimonia di oggi non sapevo, non mi hanno informato. Comunque, no, non esiste conforto. Io ancora ci piango e non mi vergogno a dirlo. La commiserazione degli altri non ti solleva da un dolore così forte, non ha alcuna importanza. Oggi non frega più niente a nessuno, pochi hanno memoria di quell’episodio, neanche vogliono ricordare e chi è vivo ha un ricordo abbastanza lontano, ottant’anni sono tanti.
Non ha partecipato al progetto “Roma 1944”, il libro realizzato dal Comune con Repubblica in cui sono state raccolti “i racconti – è spiegato sul sito del Campidoglio – degli ultimi testimoni viventi, i figli dei caduti alle Ardeatine”?
Anche di questo non sapevo nulla. Di figli ormai siamo rimasti in pochi, io ho 83 anni quanto potrò campare ancora? Ai giovani non ci credo, già li vedo che proprio non hanno alcun interesse.
È un’affermazione molto dura, anche da ascoltare. Non crede al valore della memoria?
Io non ho mai voluto affrontare politicamente la vicenda. Io sono convinta che ci hanno raccontato delle favole. Hanno detto che mio padre faceva politica, prima che era fascista, poi antifascista, poi comunista. Papà era socialista. A un certo punto ho deposto le armi: dite quello che vi pare, non vale neanche la pena difendere la memoria, ognuno dice quello che pensa.
Gualtieri ha detto che le Fosse Ardeatine sono “uno spaccato della nostra città: antifascisti, ebrei, semplici cittadini che furono presi su liste compilate anche dai fascisti, che devono essere considerati complici di questa strage nazista”.
Questo è vero.
Lei in passato ha parlato esplicitamente della connessione tra la strage delle Fosse Ardeatine e l’attentato di via Rasella, che spesso però nei discorsi ufficiali viene taciuta. Quando parla in maniera così critica della memoria è anche per questo?
La strage è stata partorita a via Rasella, non può essere diversamente, fu la rappresaglia a seguito di quella bomba. Via Rasella è una strada molto stretta, era molto facile fare una strage. Ci furono morti anche civili. La gente si affacciava alle finestre tutti i giorni per guardare i Bozen. Io non ne ho memoria diretta, ma mio fratello che aveva dieci anni mi raccontava che erano una banda musicale, marciavano senza fucili e noi li seguivano. Penso che io e mio fratello ci siamo salvati per miracolo, perché spesso ci mettevamo in coda e li seguivamo fino al Quirinale. Per me quella è stata una strage inutile, e anche molto facile da eseguire. Ancora a distanza di 80 anni mi chiedo perché.
La storia non le ha dato una risposta?
Nessuno mi ha dato una risposta a questo perché. La guerra era quasi finita, gli americani erano sbarcati ad Anzio, non c’era motivo di fare quella strage, cui sono seguite le 335 vittime, padri di famiglia, e poi le mogli rimaste vedove, i figli rimasti orfani. Quanti ne sono rimasti di orfani! A noi è mancato il futuro. Dopo la morte di mio padre, siamo stati mandati in collegio, io ci sono stata dai 3 ai 15 anni. Molte famiglie sono state costrette a mettere i figli in collegio. E questa è la storia. Anche se io ormai quando penso a mio padre penso ai suoi pensieri, a quello che deve aver provato a 35 anni sapendo che andava a morire e che avrebbe lasciato due figli piccoli e una moglie innamorata.
Lei volle incontrare Priebke per sapere se era stato lui a sparare a suo padre. Cosa la spinse?
Cercavo di capire, gli chiesi se ricordava di aver sparato a un uomo con la giacca bianca. Mio padre fu prelevato dal bar di via Rasella, indossava la giacca del bar. Credevo che potesse ricordarsi, fu una cosa molto dolorosa e anche molto ingenua. Figurarsi se poteva ricordarsi o, ammesso che si ricordasse, dirmelo. Ma avevo bisogno di sapere. Questo fu frainteso, fui anche molto attaccata per aver voluto parlare con lui. Ma io volevo guardare negli occhi la persona che poteva aver ucciso mio padre.
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