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I pronto soccorso veneti intasati dai codici bianchi: sono il triplo della Lombardia. Ecco tutti i dati

C’è un dato impressionante, rilevato dall’ultima indagine di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionale.

Dice che, nel corso del 2023, nei pronto soccorso degli ospedali del Veneto sono stati registrati 761.403 accessi con codice bianco. È il dato più alto in Italia. E per capire cosa significhi basta metterlo a confronto con il secondo numero più elevato: quello della Lombardia, una popolazione doppia rispetto alla nostra, eppure appena 282.029 accessi in codice bianco, poco più di un terzo del dato veneto.

«C’è anche da dire che in Lombardia il sistema privato lavora molto più che da noi» il tentativo di giustificazione avanzato da Giovanni Leoni, presidente regionale del sindacato Cimo e vicepresidente dell’Ordine dei medici.

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Mancano i medici di famiglia

Ma c’è soprattutto da considerare un secondo aspetto: in tutta la regione, si stima manchino più di 300 medici di famiglia. E allora, saltata la rete della sanità di base, è naturale che i pazienti meno gravi si rivolgano ai pronto soccorso, ora letteralmente intasati dai codici bianchi.

E questo ha come conseguenza il fatto che siano proprio quelli veneti i pronto soccorso italiani nei quali i codici bianchi aspettano più a lungo (va considerata la mediana e non la media), prima di essere visitati: la media è di 3 ore e 3 minuti, contro le 2 ore e 44 che sono la media nazionale.

Anche se, fa presente la Regione, non sempre il minor tempo di attesa corrisponde a una più elevata qualità della prestazione. E prova ne sia il fatto che sempre il Veneto è una delle regioni con il più basso tasso di abbandoni dei pazienti, prima della visita medica. Nella nostra regione, soltanto l’1,65% dei pazienti decide di andarsene dal pronto soccorso, spazientito, ancor prima di essere ricevuto dal medico; guardando a tutta Italia, la percentuale si alza al 6,29%.

I codici verdi, gialli e rossi

Ma tornando all’affollamento dei pronto soccorso, sono anche altri i dati interessanti, che confermano le difficoltà del sistema della medicina generale. E sono i dati di accesso dei codici più gravi: verdi, gialli e rossi.

E in questi casi non solo non si conferma lo “strapotere” veneto. Ma la nostra regione è addirittura decima, per accessi con codice verde, a livello nazionale. Poi risale le posizioni, con l’aggravarsi del quadro: sesta per codici gialli e terza per i rossi, con dati che rispondono meglio alle popolosità delle diverse regioni italiane.

E migliora – pur se i risultati non sono ancora del tutto lusinghieri – pure il dato relativo alla permanenza in ospedale, in attesa della visita. Quanto ai codici verdi e gialli, i pronto soccorso veneti non sono più i peggiori in Italia, ma i quinti più lenti; i terzi, invece, per i codici rossi.

Sommando tutti i casi, quindi, il Veneto è la quarta regione, dopo Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio, per numero totale di accessi ai pronto soccorso degli ospedali. Sono stati poco più di 1,4 milioni nel corso di tutto il 2023, dei quali il 54,99% accompagnato da un codice bianco.

Gli aspetti positivi

Gli altri dati del report, relativi al Veneto, sono piuttosto positivi: lo sono, ad esempio, le performance della rete cardiologica. Ma la prima questione – in una regione che ha ancora alcune migliaia di prestazioni sanitarie da smaltire – rimangono i tempi di attesa.

Leoni cerca di guardare il lato positivo della situazione: «Se così tante persone vanno nei pronto soccorso, significa che si fidano dell’istituzione» dice. Aggiungendo, però: «È necessario rafforzare l’attività extra ospedaliera, a sostegno dei reparti». E quindi la medicina generale, «agevolando la creazione delle medicine integrate». E non solo: «Bisogna procedere spediti con le nuove case della salute, che nascono proprio nell’ambito del riassetto dell’attività territoriale».

Cosa fare?

E bisogna rafforzare i pronto soccorso stessi. Perché, è qui il paradosso, bersagliati dai pazienti che chiedono sanità di base, sono a loro volta i reparti più sguarniti di personale. L’ultima stima parlava di 160 “buchi”. E in 212 si sono candidati, per essere inseriti in un elenco diviso per territori, al quale le diverse Usl potranno attingere.

Ma, tra i 212 candidati, molti sono medici in pensione, tanti sono specializzandi e altri ancora sono dottori che si sono proposti contemporaneamente a più aziende sanitarie. In sintesi, non basta questo elenco a risolvere i problemi della medicina di base, sempre più “bersagliata” dai pazienti.

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