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Povertà, diminuiti rischio e intensità: così le politiche del governo hanno bloccato lo tsunami inflazione

Dopo i dati sul calo del rischio di povertà in Italia, l’Istat ha rilasciato le stime sulla povertà assoluta, certificando che il dato resta stabile. Quest’ultima rilevazione ha dato la stura all’opposizione per parlare di un presunto fallimento delle politiche del governo. Si tratta, in realtà, di una mistificazione dei dati, che non tiene in alcun conto l’effetto devastante che i picchi di inflazione avrebbero potuto avere sulle famiglie, se non fossero stati mitigati dalle scelte del governo. Dunque, dati alla mano, anche gli ultimi numeri rilasciati dall’Istituto confermano l’efficacia delle politiche del governo nel contrasto alla povertà.

Un’analisi che, sottolineano fonti di Palazzo Chigi, riguarda tanto il rischio quanto l’intensità della povertà, entrambi ridotti. Anche l’incidenza della povertà assoluta mostra come si sia passati da un aumento dello 0,6% registrato nel 2022 rispetto al 2021 a un aumento dello 0,2% del 2023 rispetto all’anno precedente, interamente dovuto alle dinamiche inflazionistiche. Dunque, una netta battuta d’arresto rispetto all’anno precedente.

Andando per ordine, lo scorso 6 marzo l’Istat ha pubblicato una nota nella quale affermava che, nel complesso, le misure introdotte nel corso del 2023 dal governo (ad esempio il taglio del cuneo fiscale fino a 7 punti percentuali e l’aumento dell’assegno unico graduato per Isee) hanno portato ad un aumento, seppur lieve, dell’equità della distribuzione dei redditi. L’effetto più evidente di questa redistribuzione si è registrato sul rischio di povertà che è diminuito di oltre un punto percentuale, dal 20% al 18,8%. Quindi, un risultato positivo in termini di politiche di contrasto alla povertà e di sostegno ai redditi più bassi messe in campo dall’esecutivo. Il rischio di povertà al quale si fa riferimento nella nota indica la percentuale di persone che vivono in famiglie con un reddito disponibile inferiore a una determinata soglia di rischio di povertà (soglia fissata al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito disponibile equivalente).

Il 26 marzo l’Istat ha pubblicato una seconda nota contenente una stima preliminare sulla povertà assoluta e sulla spesa delle famiglie italiane nella quale si legge che: “Nel 2023, secondo le stime preliminari, l’incidenza di povertà assoluta è pari all’8,5% tra le famiglie (8,3% nel 2022) e al 9,8% tra gli individui (9,7% nel 2022), in un quadro di sostanziale stabilità rispetto al 2022”. Si è registrato, quindi, nelle stime, un lieve aumento dell’indice di povertà rispetto all’anno precedente, talmente lieve che il nostro ufficio statistico parla di stabilità.

I dati delle due note Istat non sono in contraddizione come invece potrebbe apparire, prendendo in considerazione due indicatori differenti. Nella prima nota, infatti, si parlava di rischio di povertà, nella seconda di povertà assoluta. Rientrano tra le famiglie in povertà assoluta quei nuclei familiari con una spesa mensile pari o inferiore a quella necessaria ad acquistare il cosiddetto paniere di povertà assoluta, ovvero l’insieme beni e i servizi che vengono considerati essenziali per consentire ad una famiglia uno standard di vita minimamente accettabile ed evitare gravi forme di esclusione sociale.

L’incidenza della povertà assoluta è quindi legata al livello di spesa di un nucleo familiare, fortemente influenzato, nel biennio 2022-2023, dall’inflazione. Come scrive la stessa Istat, “nel 2022 l’incidenza della povertà assoluta torna ad aumentare e arriva all’8,3%, in larga misura a causa della forte accelerazione dell’inflazione, che ha colpito in particolar modo le famiglie meno abbienti. Le spese di queste ultime non sono riuscite infatti a tenere il passo dell’aumento dei prezzi, incluso quello dei beni e servizi essenziali considerati nel paniere della povertà assoluta”.

Nel 2022, l’aumento delle famiglie in povertà assoluta è stato dello 0,6% rispetto all’anno precedente, quando il totale delle famiglie in povertà assoluta era pari al 7,7% delle famiglie residenti in Italia. L’aumento nel 2023 è, invece, molto contenuto (+0,2%), e ha riguardato prevalentemente famiglie straniere. Talmente contenuto che, come detto, la stessa Istat parla di sostanziale stabilità dell’indicatore. Ciò, nonostante un’inflazione sempre elevata (+5,9% la variazione su base annua dell’indice dei prezzi al consumo registrata nel 2023).

“Le politiche redistributive attuate dal governo a sostegno dei redditi più bassi e le politiche di sostegno al potere d’acquisto in favore delle famiglie con maggiori difficoltà economiche hanno, quindi, dato i loro frutti, contribuendo – sottolineano fonti di Palazzo Chigi – a mitigare l’effetto dell’inflazione sulla capacità di spesa degli italiani e a mantenere sostanzialmente stabile il dato sulla povertà, nonostante la difficile situazione che l’esecutivo ha dovuto affrontare con le limitate risorse a disposizione”.

Analizzando le serie storiche dell’Istat, emerge un altro dato interessante che conferma il buon operato del governo in tema di redistribuzione della ricchezza e di contrasto alla povertà. Riguarda l’intensità della povertà che misura di quanto, in percentuale, la spesa media delle famiglie povere è al di sotto della soglia di povertà. Nel 2023 l’intensità della povertà è sul livello dell’anno precedente, stabile al 18,2%. Come detto, nonostante l’inflazione. Nel 2019 era al 20,3%.

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