Raid Nato su Belgrado, l’Onu rifiuta il dibattito. L’ira di Russia e Serbia
BELGRADO Bombe e missili lanciati un quarto di secolo fa continuano a fare male. E a provocare polemiche, controversie e una vera bufera politica e diplomatica ai massimi livelli, nel cuore del Palazzo di Vetro. Sono gli ordigni lanciati dalla Nato nel 1999 contro l’allora Jugoslavia di Slobodan Milošević, in quella Operation Allied Force sferrata proprio 25 anni fa per fermare la sanguinosa repressione del regime contro la minoranza albanese in Kosovo. L’Operazione iniziò il 24 marzo – data che viene ricordata ogni anno in Serbia con cerimonie civili e religiose – e si concluse il 10 giugno 1999, dopo la firma degli accordi di Kumanovo, con la resa di fatto dei serbi e l’ok di Milošević al ritiro di esercito e polizia dalla provincia meridionale.
Ma quale attualità può ancora avere oggi la guerra del 1999, mentre il mondo è scosso da quella in Ucraina, dai massacri a Gaza e da nuovi conflitti che sembrano prepararsi? Ne ha, ed è grande. Lo si è visto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, teatro di una vera tenzone tra grandi potenze proprio sui fatti del 1999. La miccia, una richiesta presentata a inizio marzo dalla Russia, che aveva annunciato di volere una «seduta del Consiglio» dedicata ai bombardamenti Nato sulla Serbia «proprio nel venticinquennale», come annunciato dal vice-rappresentante russo all’Onu, Dmitrij Poljanski.
Questa la motivazione: «La più importante crisi» che si è poi tradotta «nella formazione dell’attuale sistema di relazioni» internazionali deve essere riportata d’attualità nel massimo consesso internazionale, aveva aggiunto Poljanski. Nella lettura di Mosca infatti «l’aggressione Nato contro la Jugoslavia e la separazione illegale del Kosovo» dalla Serbia sarebbero alla base della «rottura del sistema internazionale costruito nel rispetto degli Accordi di Helsinki», il decalogo che nel 1975, firmatari anche Usa, Urss e altre grandi potenze, fissava princìpi come «inviolabilità delle frontiere», risoluzione «pacifica delle controversie», ma anche «non ingerenza negli affari interni» e «integrità territoriale degli Stati». Nel 1999, invece, «per la prima volta i confini di uno Stato indipendente vennero violati con la forza», dalla Nato, e fu quello il vero «inizio della crisi con la Russia, che non accettò questa arbitrarietà dell’Occidente», con tutti i problemi e le successive evoluzioni.
La posizione russa - naturalmente condivisa al 100% da Belgrado – a sorpresa non è stata tuttavia oggetto di dibattito al Consiglio di sicurezza. A causa delle “perplessità” di alcuni membri del Consiglio, infatti, la proposta è stata messa ai voti: solo Russia, Cina e Algeria hanno votato a favore, tutti gli altri si sono astenuti, con Usa e Francia particolarmente contrarie all’idea di Mosca, portando alla cancellazione del dibattito sui 78 giorni di bombardamenti. E a veementi polemiche, con riflessi sull’attualità. Gli attacchi iniziati il 24 marzo «furono una brutale violazione del diritto internazionale» e l’Occidente non ne vuole parlare neppure oggi, ha così accusato l’ambasciatore russo all’Onu, Vasily Nebenzya. «Deludente che il Consiglio si sia rifiutato» di parlare del 1999 e del «bombardamento dell’ambasciata cinese» a Belgrado, ha fatto eco Pechino. «Si è impedito di dire la verità sull’aggressione Nato di 25 anni fa contro la Jugoslavia», ha annotato il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, senza nascondere la propria «delusione» per la cancellazione del dibattito.
Sul fronte opposto, il Kosovo e l’Occidente. La Russia e la Serbia tentano «un assurdo e inaccettabile parallelo tra intervento Nato e la guerra d’aggressione» di Mosca «per annettere territori», ha replicato l’omologa kosovara Gervalla Schwarz. Quello russo è stato solo un tentativo «cinico di usare l’intervento Nato del 1999 per giustificare la guerra in Ucraina e le politiche aggressive in Georgia e Crimea», ha fatto eco la Francia. E così un passato irrisolto continua a riverberarsi su un presente sempre più conflittuale.