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Le maschere del male nel mondo in fiamme

Le maschere del male nel mondo in fiamme

foto da Quotidiani locali

L’attentato di Mosca dello scorso 22 marzo, ha ricordato al mondo globalizzato che la politica internazionale non è solo una faccenda di Stati che lottano fra loro per il controllo dei territori. Nel gioco del potere si è innestato un “terzo attore”, l’estremismo islamico.

Difficile reagire per l’Occidente “secolarizzato”, che non parla il linguaggio della guerra santa dal lontano Medio Evo. Il nemico strisciante che coltiva il disegno di un califfato globale è una delle “maschere del male” che attraversano una contemporaneità popolata da minacce che non rispondono più a nessun archetipo.

Già il male… La letteratura di tutti i tempi se ne è occupata da Manzoni a Dostoevskj, da Leopardi ad Arendt, non trovando mai una risposta definitiva. Continua a essere un mistero per i credenti, un interrogativo per le coscienze laiche, di certo una costante che attraversa la storia, mescolandosi con il bene, in un fitto intreccio a volte inestricabile. Sono, in particolare, quelle che Giorgio Pacifici chiama “agenzie del male” (cfr. Le maschere del male, ed. Franco Angeli) che andranno osservate con attenzione, i primi, autentici “motori” di negatività che, nelle sembianze della violenza molecolare stanno sconvolgono il mondo.

Dal terrorismo, alle guerre per il predominio delle aree strategiche, dal radicalismo della jihad, alla tante forme più o meno manifeste di razzismo che sono la matrice di tanta sofferenza fisica, il male attraversa la quotidianità. Difficile arginarlo, tessere strategie efficaci, perché la “minaccia” non risponde più agli archetipi che hanno alimentato la costruzione della coscienza e dell’immaginario collettivo nelle diverse epoche.

La sociologia del male non è ancora una scienza esatta, non ha uno statuto accademico, bisognerebbe introdurla come disciplina per capire qualcosa in più di questo complicato presente. L’11 settembre prima e il Bataclan hanno scandito un’inedita fenomenologia del male. Un “medioevo” tecnologico, costruito sul macabro esercizio di una pratica della morte spettacolarizzata, priva di codici etici, senza alcun rispetto per la sacralità della vita ha aperto il sipario su un mondo in fiamme, in cui si respira una pericolosa voglia di guerra.

L’attentato al Crocus City Hall trascina il mondo in fiamme, generando paure collettive che non si manifestano separatamente, assumendo le sembianze dei cluster, in cui una paura è collegata ad un’altra, dandole origine e alimento. Il timore per l’escalation del braccio armato dell’Isis si sovrappone, infatti, alle preoccupazioni per l’immigrazione incontrollata che scuotono l’Europa. In questa dinamica il progetto della creazione di un califfato globale, scompone l’Occidente in diverse aree di interesse, determinando reazioni spesso contro intuitive, perché non più classificabili nei canoni della geopolitica del Novecento.

Le paure, prima richiamate, che dovrebbero sfociare in una difesa a tutto campo delle istituzioni parlamentari che sostanziano la democrazia, provocano l’effetto contrario. In diversi contesti (gli Stati Uniti sono solo l’esempio più lampante) si sta producendo un “arroccamento” da parte di molte elite che si riconoscono in organizzazioni che minacciano proprio quella libertà individuali di cui si teme oggi l’offuscamento.

Il paradosso è il tragico risultato del “salto di qualità” del livello di rischio portato da una “guerra cognitiva” che coinvolge l’intelletto e la tecnologia. Un conflitto dagli esiti incerti in cui si gioca il futuro della democrazia e della possibile pacificazione nei tanti teatri di morte che insanguinano il Pianeta.

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