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I crimini di Netanyahu non sono inferiori a quelli di Putin: per lui valgono due pesi e due misure

C’è guerra e guerra, violazione e violazione del diritto internazionale, narrazione e narrazione sulle ingiustizie del mondo. Un mondo impazzito dove c’è chi lega il proprio destino politico alle guerre e sta facendo di tutto per non fermarle, anche a costo di allargarle e di spingerci verso l’irreparabile. Con la cosiddetta comunità internazionale che sta sostanzialmente a guardare, usa due pesi e due misure nel giudicare aggressori e aggrediti, si fa trascinare in improbabili dispute tra buoni e cattivi, si appecora alle campagne geopolitiche, militari ed economiche dei “re del mondo”, poi ci inonda sui media di editoriali e commenti sulla “buona causa” delle armi al servizio della “pace giusta”, incapace com’è di mettere in campo una credibile iniziativa politica e diplomatica per interrompere con il cessate il fuoco, il dialogo e la trattativa la folle spirale delle guerre. 

È così per l’Ucraina, dove a due anni dall’invasione russa a pagare il prezzo più alto in vite umane sono i soldati (si stimano circa 400mila morti e feriti tra i due eserciti), mentre tra i civili il conto delle vittime è molto più contenuto (circa 10mila morti, di cui 600 bambini, e 20mila feriti), ma con sei milioni di sfollati, la distruzione di intere città e infrastrutture nel Donbass conteso (dove si stimano costi per la ricostruzione di oltre 400 miliardi di euro), un’economia in ginocchio e un paese che ormai sta in piedi solo in virtù degli aiuti dell’Occidente. Per sostenere militarmente l’Ucraina gli Stati Uniti hanno speso 70 miliardi di dollari (altri 60 sono bloccati dai repubblicani al Congresso), ma con un ritorno cospicuo per le industrie delle armi, mentre la Ue ha stanziato in due anni ben 140 miliardi di euro, sostenendo così il peso maggiore della guerra, a perdere.

È così in Palestina, dove il costo più alto lo pagano invece i civili. In sei mesi di guerra si contano, infatti, oltre 32mila morti (il 40% bambini e donne) e 74mila feriti (fonte Ministero della Sanità palestinese), a cui vanno aggiunte le 1.200 vittime israeliane dell’assalto terroristico di Hamas, il 7 ottobre scorso. Qui quella che doveva essere un’azione israeliana di “legittima difesa” e una “reazione proporzionata” all’attacco subìto, si è trasformata nella distruzione sistematica della Striscia di Gaza. 

Il bilancio è impressionante. L’assedio ha costretto quasi due milioni di palestinesi a sfollare a Rafah, al confine con l’Egitto, senza possibilità di fuga, ammassati in tendopoli e baraccopoli senza servizi igienici, privati di acqua potabile, cibo, medicine, carburanti. L’Onu e associazioni umanitarie come Oxfam, Amnesty e Save the Children stanno denunciando da tempo i rischi devastanti di carestia e malattie.  La fame è usata come arma di guerra. Israele sta bloccando da mesi al valico di Rafah oltre 1.500 camion di aiuti umanitari. I pochi che riescono a passare vengono presi d’assalto dalla popolazione affamata, causando, nella calca, altre vittime. La stessa cosa che accade quando gli aiuti vengono paracadutati dal cielo: l’altro giorno alcuni sono finiti in mare e dodici persone sono annegate nel tentativo di recuperarli. Più di cento persone in fila per il pane sono state uccise nei giorni scorsi, “per errore”, e ieri, per un altro “tragico incidente”, è toccato anche a sette operatori di una onlus che portava aiuti a Gaza. Si stima che almeno il 40% degli edifici della Striscia sia stato distrutto o danneggiato dai bombardamenti israeliani, compresi gran parte degli ospedali e delle scuole. Tra le uccisioni, incidentali o mirate che siano, anche 150 operatori delle strutture Onu, oltre 300 tra medici e infermieri, ben 130 giornalisti, quasi tutti palestinesi perché i media occidentali non vengono fatti entrare a Gaza ed è di ieri il tentativo di Netanyahu di “silenziare” anche Al Jazeera. 

La mozione per l’immediato cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e il via libera agli aiuti umanitari che nei giorni scorsi l’Onu è finalmente riuscito ad approvare grazie all’astensione Usa, è rimasta lettera morta. Il governo Netanyahu l’ha bellamente ignorata, continuato a bombardare Gaza anche nei giorni del ramadan e ribadendo la propria intenzione di entrare anche a Rafah, nonostante la contrarietà dell’alleato americano. Come se non bastasse, gli aerei israeliani hanno distrutto ieri a Damasco un edificio dell’ambasciata iraniana in Siria, uccidendo almeno undici persone, tra cui due capi dei pasdaran. È solo l’ultimo di decine di attacchi mirati compiuti da Israele in altri stati sovrani come Libano, Siria, Iraq. 

Un insieme di azioni che violano, allo stesso modo di quelle della Russia di Putin, le più elementari norme del diritto internazionale, umanitario e della convivenza civile.   Ma che, se le fa Israele, vengono trattate come normali dai media occidentali, figli di un passato che non passa, in questa sorta di “sindrome di Stoccolma” all’incontrario. 

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