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Trieste dà l’addio a Zanfagnin, il “ragioniere mite”

Trieste dà l’addio a Zanfagnin, il “ragioniere mite”

Si è spento lunedì a 85 anni. Era stato per due volte assessore con Illy sindaco e poi sovrintendente del Teatro Verdi

TRIESTE Lo ricordano come un «signore tutto d’un pezzo», dal temperamento mite e da quella propensione a dare cuore e anima per il lavoro. «Ha sempre messo se stesso in quello che faceva», ripercorrono i famigliari ora che Giorgio Zanfagnin, ex assessore comunale della giunta Illy ed ex sovrintendente del Teatro Verdi, si è spento.

È deceduto lunedì, a 85 anni, nella propria abitazione, a causa di una malattia incurabile. Era sposato con la moglie Vilma Abram, dalla quale aveva avuto due figli, Stefano e Pierpaolo. La moglie l’aveva conosciuta all’oratorio della parrocchia di San Giovanni quando lei aveva quindici anni e mezzo e lui venti e mezzo. Erano assieme da quella volta.

Era un ragioniere, Zanfagnin, di quelli tosti. Triestino, aveva fatto carriera nelle vecchie Distillerie Stock, di cui era stato anche componente del consiglio di amministrazione e per la quale si era dato anche un gran da fare per le operazioni di cessione.

La città rammenta soprattutto il ruolo pubblico di Zanfagnin: due volte assessore comunale al Bilancio, in entrambi i mandati retti dall’allora sindaco Riccardo Illy: quindi dal ’93 al ’97 e dal ’97 al 2001. E con anche una breve parentesi da vice sindaco in quanto “assessore anziano” quando nel 2001 sia Illy che Roberto Damiani, suo vice, si erano candidati in Parlamento. Era stato quindi lui, Zanfagnin, a passare il testimone a Roberto Dipiazza.

Il “ragioniere”, successivamente, era stato alla guida del Teatro Verdi come sovrintendente (con Illy presidente della Regione). «Mio marito ha sempre avuto la passione per la lirica, andavamo alle opere da quando io avevo 16 anni, ed ero una ragazzina, e ora ne ho 81...», ripercorre, con dolcezza, la moglie Vilma. «Insieme avevamo girato i teatri di tutto il mondo. Poi ha diretto, con molto successo, il Verdi».

«Mio padre era veramente un grande lavoratore – conferma il figlio Stefano – e credo sia stato ben voluto. Ancora oggi, quando incontro qualche musicista del Verdi o qualche impiagato o funzionario comunale, tutti si ricordano di lui e del suo temperamento gentile e mi chiedono di portare i loro saluti».

Sempre chino sui fogli e numeri per far quadrare i bilanci, poco propenso alla vis polemica, Zanfagnin, nonostante i ruoli, non amava molto apparire. «Mio marito era un gran signore», ripete ancora, con commozione, la moglie Vilma.

Nel salotto di casa la signora custodisce un documento in cornice, che guarda con fierezza: è la nomina del marito all’onoreficenza a «commendatore della Repubblica», datata 28 dicembre 2001. Firmato Ciampi, controfirmato Berlusconi.

Zanfagnin è stato anche un nonno di quattro nipoti. «Giorgio era buono, generoso», spiega la signora Vilma.

C’è un aneddoto che talvolta si racconta in famiglia: il primo cappotto che Zanfagnin, allora bambino, aveva ricevuto in regalo, era stato preparato con ago e filo da suo padre, infermiere all’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni: lo aveva ricavato da una coperta di un militare americano.

Il funerale del commendatore Giorgio Zanfagnin sarà celebrato questo sabato, alle 9, nella cappella del cimitero di Sant’Anna.

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