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Delitto di piazza Meardi, primi testimoni in aula: «Ha esploso il colpo da terra, era distante cinquanta centimetri»

PAVIA. «Ho sentito “bum” dopo che il marocchino ha provato a colpire di nuovo l’italiano, che era a terra. A che distanza? Circa 50 centimetri». Il barista cinese del bar Ligure capisce, a un certo punto, che forse l’interprete che traduce le sue parole non basta e che per farsi capire meglio deve provare a spiegare con i gesti la scena a cui ha assistito quella sera di quasi tre anni fa, davanti al suo locale. Così si sdraia per terra, nell’aula al piano terra del tribunale, recitando la parte dell’ex assessore Massimo Adriatici, mentre la sua interprete si presta a fare quella di Younes El Boussettaoui, restando in piedi. Poi misura con le braccia la distanza. Mezzo metro circa. La distanza, appunto: il nodo del processo, attorno al quale oscilla, da un estremo all’altro, l’accusa di eccesso colposo di legittima difesa.

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Adriatici era sovrastato e minacciato a tal punto dal 39enne che lo sparo fu legittima difesa piena, come sostengono i suoi avvocati? Oppure ha calcolato male il pericolo, esagerando la sua percezione del rischio che correva, visto che il suo aggressore era a mani nude, come ipotizza la procura? O ha sparato con l’intenzione di uccidere, come continuano a ribadire gli avvocati dei familiari della vittima?

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Le testimonianze

Per arrivare alla verità giudiziaria saranno sentiti, nel processo, circa 50 testimoni. E ieri è toccato a quelli oculari: i tre clienti del bar che erano stati sentiti anche con lo strumento dell’incidente probatorio (le loro versioni erano state raccolte proprio in vista del giudizio) e il gestore cinese del bar Ligure, storico locale vogherese che ha il suo ingresso proprio su piazza Meardi e il cui piazzale antistante è diventato quella sera del 2021 la scena di un crimine.

Proprio queste testimonianze, intrecciate con i filmati della telecamera di una agenzia immobiliare in corso XXVII Marzo, hanno permesso ai consulenti della procura di ipotizzare la dinamica del ferimento mortale.

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Il gestore del bar Ligure era all’interno del suo locale quando Younes El Boussettaoui cominciò a discutere nel piazzale con Adriatici e uscì non appena sentì il trambusto. «L’italiano era al telefono – ha raccontato in aula –. Poi ho visto che il marocchino gli ha dato uno schiaffo ed è caduto per terra. Il marocchino era in piedi, ha cercato di dargli un altro pugno. Poi ho sentito lo sparo».

L’altro testimone, un giovane di 26 anni originario del Marocco, ha confermato in buona parte questa ricostruzione. «Ero dentro al bar, con un ragazzo e una ragazza che aveva il cane – ha spiegato –. Poi è entrato Younes, l’animale gli ha abbaiato contro. A quel punto è uscito fuori. L’italiano era al telefono, il marocchino è andato verso di lui per chiedergli con chi parlava. Gli ha dato un pugno, quello è caduto e gli ha sparato. Erano abbastanza vicini e l’imputato era per terra appoggiato sui gomiti. Ha sparato con la mano destra». Nessuno dei testimoni, però, ha saputo dire con precisione se la pistola era già in mano all’imputato o se l’ha estratta mentre era a terra. Non sono servite nemmeno le immagini della telecamera di corso XXVII Marzo, perché l’attimo dello sparo è coperto dal muro del bar.

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