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Bruno Conti: “De Rossi la mia soddisfazione più grande. Nessuno credeva in Politano. Maradona ad ogni abbraccio mi sussurrava di andare al Napoli”

AS ROMA NOTIZIE – Bruno Conti, bandiera della Roma ed grande ex ala destra della squadra giallorossa e della Nazionale azzurra, ha parlato al Corriere della Sera in un’intervista di cui pubblichiamo un estratto. Ecco le sue parole: Bruno Conti, lei ha debuttato in A 19enne, 50 anni fa. Era già pronto o fu Liedholm […]

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AS ROMA NOTIZIE – Bruno Conti, bandiera della Roma ed grande ex ala destra della squadra giallorossa e della Nazionale azzurra, ha parlato al Corriere della Sera in un’intervista di cui pubblichiamo un estratto. Ecco le sue parole:

Bruno Conti, lei ha debuttato in A 19enne, 50 anni fa. Era già pronto o fu Liedholm a buttarla nella mischia?
«Non mi sentivo pronto, ma il Barone me lo disse all’ultimo, fu questo il segreto».

La Roma è ancora parte della sua vita. Un caso unico.
«Soprattutto se penso che ho realizzato il sogno di mio padre, che era un tifoso romanista e ha cresciuto sette figli. Ho giocato, allenato i ragazzi, la prima squadra, ho fatto il direttore tecnico e del settore giovanile: quando potevo essere d’aiuto non mi sono mai tirato indietro».

Se oggi deve spiegare a un ragazzino che cos’è il professionismo, che parole usa?
«Il problema è spiegarlo ai suoi genitori. Noi siamo cresciuti in strada, pensando solo a divertirci. Oggi se a 11 anni un bambino viene selezionato c’è un’esasperazione incredibile, si pensa solo al risultato, a litigare e a sovrastare gli altri, invece di far capire poche cose, ma con chiarezza».

(…)

Ma per emergere pesa di più la fame o il talento?
«Io un po’ di talento ce l’avevo, anche nel baseball. Ma ottieni tutto solo con la fame e la passione, che sono quelle che ti fanno fare i sacrifici. Se racconto ai ragazzi che per andare a giocare alla Roma prendevo il treno da Nettuno, poi la metropolitana e facevo anche un pezzo a piedi, mi rispondono che i tempi sono cambiati. Ma se i genitori portano la borsa al bambino, imparare il sacrificio è dura…».

Non sognava nemmeno di fare il campione di baseball?
«A casa vennero gli americani del Santa Monica per convincermi ad andare negli Usa, ma per i miei ero troppo piccolo. Non mi arrabbiai con loro, era una cosa naturale all’epoca. Oggi tutti pensano di avere il figlio fenomeno».

La priorità era lavorare?
«Sì. Il mio più grande rimpianto è quello: sono andato a scaricare bombole in un negozio di casalinghi per portare a casa qualcosa. E la scuola mi è mancata tantissimo. Al momento delle interviste nel mio primo ritiro con la Roma, mi sono nascosto in camera: avevo paura di non saper rispondere. La mia scuola alla fine è stata la strada e nella mia semplicità ho imparato a dire le cose a modo mio».

(…)

Maradona le faceva una corte così serrata?
«Ad ogni abbraccio in campo, Diego mi sussurrava nell’orecchio di andare a Napoli. C’era grande stima e rispetto, venne a Trigoria a trovarmi quando allenavo. Oltre al calciatore c’era un uomo fantastico, Buono nell’anima».

Lei è stato campione del mondo, ma ha sbagliato un rigore chiave in finale di Coppa dei Campioni, per giunta a Roma: un campione ricorda di più i momenti di gioia o quelli brutti?
«Nessun italiano in tre anni consecutivi ha vinto Mondiale, scudetto e Coppa dei Campioni e io ci sono andato molto vicino. Ma lo sport è fatto di gioie e dolori: questi te li porti dietro, bisogna accettare le sconfitte e reagire, perché il calcio è bello comunque».

Con De Rossi allenatore della Roma cosa è cambiato?
«Per me Daniele è sempre stato un allenatore in campo, per l’intelligenza tattica e per le scelte che faceva: quando vedevo Ancelotti in campo avevo la stessa sensazione. Poi è un grande uomo, mai banale: ha preso la squadra in un momento delicato e si sta dimostrando un allenatore vero, preparato in tutto. Sono contentissimo per lui».

Da Riva a Vialli, da Rossi a Beckenbauer. Quando vede tutto l’amore attorno ai grandi campioni che se ne vanno, cosa pensa?
«È stata tutta gente che ha interpretato il calcio in una certa maniera, molto differente da tutto quello che vediamo oggi. Qui si parla di uomini, non solo di fenomeni. E questa componente umana oggi secondo me manca».

Cosa pensa della paura per i farmaci assunti in carriera, manifestata da tanti suoi ex colleghi?
«Personalmente non ho mai preso nulla di nulla e le polemiche ci sono sempre state, anche sulla carnitina al Mondiale. Ma associare certi prodotti alle malattie è un meccanismo non semplice».

Eriksson è stato suo allenatore. La sua lotta al tumore è un’altra pagina dura.
«Non dimenticherò mai la sua presenza, in quel momento non scontata, al mio addio al calcio. Forza Sven, gli auguro tutto il bene possibile».

Che padre è stato Bruno Conti con i suoi figli?
«Protettivo. Ho cercato di crescerli come ha fatto mio padre con me, grazie anche a una moglie incredibile, nel rispetto assoluto per la famiglia. Esserci riuscito è una grande soddisfazione».

La dinastia prosegue coi nipoti?
«Ne ho cinque, due giocano a calcio. Bruno nel Verona e Manuel con il Cagliari».

C’è un ragazzo del settore giovanile della Roma su cui non avrebbe scommesso e che invece è arrivato in alto?
«Politano era considerato come me, troppo gracile. Nessuno ci credeva invece è arrivato dove è arrivato. Ma quello che mi ha dato più soddisfazione di tutti è proprio De Rossi: lo avevamo preso come attaccante, poi è stato spostato in mediana ed è diventato grande. Anche per questo vederlo oggi sulla panchina della Roma è speciale».

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