Israele, la via della pace passa per lo stop del sostegno occidentale: un’idea ancora lontana
Lo Stato di Israele costituisce attualmente il maggior pericolo per la pace mondiale. Si tratta di uno Stato da tempo avvezzo a violare ogni norma internazionale, ma che a partire dal 7 ottobre ha intensificato la propria attività criminale, aggiungendo all’apartheid in corso contro i Palestinesi in Cisgiordania il genocidio contro quelli di Gaza.
Negli ultimi giorni poi Israele ha risposto alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che imponeva il cessate il fuoco e alla nuova pronuncia della Corte internazionale di giustizia che gli ha chiesto di porre fine alle attività genocide, bombardando una sede diplomatica, l’ambasciata dell’Iran a Damasco, e massacrando premeditatamente sette operatori umanitari che tentavano di distribuire cibo alla popolazione palestinese che sta morendo di fame, per non parlare della continuazione dell’ordinaria amministrazione a Gaza e in Cisgiordania, fatta di omicidi a sangue freddo, sequestri, stupri, saccheggi e quant’altro.
Un ulteriore elemento di criticità è costituito dalla situazione personale del premier Netanyahu, il più coerente interprete del progetto genocida dell’establishment israeliano. Costui da tempo utilizza l’arma dell’escalation militare come forma di autotutela dalla giustizia del suo Paese, da cui è stato varie volte accusato di vari atti di corruzione, e si oppone strenuamente alle elezioni anticipate che significherebbero con ogni probabilità il suo tramonto definitivo. Gli attacchi di questi ultimi giorni in Siria e a Gaza rispondono con ogni evidenza a questa logica di escalation: far deflagrare ulteriormente il conflitto per mettere a tacere i critici interni e quelli internazionali, seppure a rischio di un ulteriore e forse irreparabile allargamento dello scontro.
Ma il vero problema non è Netanyahu. Si tratta di un gangster da quattro soldi che solo una serie di coincidenze ha portato al potere, dal quale evidentemente non intende recedere a nessun costo, al punto che sono in molti a chiedersi fino a che punto l’attacco palestinese del 7 ottobre sia stato agevolato dal governo israeliano spostando truppe in Cisgiordania e ignorando gli allarmi che gli provenivano da varie parti. Un atteggiamento di imperdonabile sottovalutazione del nemico al quale ha anche indubbiamente contribuito un certo disprezzo razzista per i Palestinesi, ritenuti incapaci, in quanto razza inferiore, di operare un’offensiva militare ampia e di successo.
Il problema vero è l’Occidente che continua a sostenere Netanyahu concedendogli le armi micidiali e l’appoggio politico senza i quali Israele sarebbe destinato a ben più miti consigli e in sostanza a scegliere la coesistenza pacifica coi Palestinesi come unica possibilità di sopravvivenza. La via della pace passa quindi per l’interruzione definitiva del sostegno occidentale a Israele. Ma questa elementare verità è ancora ben lungi dal trovare spazio nei cervelli arrugginiti di coloro che ci governano. Se è vero infatti che gli Stati Uniti si sono momentaneamente decisi a non apporre il veto a una risoluzione che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza, hanno ripreso ad avallare i crimini di Israele, nei cui confronti continua il loro incondizionato sostegno con l’invio di armamenti sofisticati che hanno ucciso in pochi mesi oltre trentamila Palestinesi, soprattutto bambini.
Gaza costituisce del resto da mesi un ideale poligono di tiro nel quale il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali, tra i quali l’Italia, sperimenta i propri armamenti sulla pelle di centinaia di migliaia di Palestinesi inermi e ridotti alla fame, alla sete e alle malattie.
E non si tratta solo degli Stati Uniti, ma anche dei Paesi europei, tra i quali per l’appunto l’Italia. Come scritto nell’esposto che presenterò con vari avvocati di fronte alle Procure italiane, le recenti statistiche relative alle esportazioni di armamenti dimostrano come non sia affatto vera la dichiarazione dei ministri competenti secondo i quali l’Italia avrebbe interrotto le forniture di armamenti a Israele dopo il 7 ottobre. Si tratta di una condotta che riveste i caratteri della complicità nel genocidio, fattispecie prevista anch’essa dalla Convenzione dl 1948. Un ruolo di primo piano spetta al complesso industriale italiano e ai suoi sponsor politici come pure alla ben nota bovina subalternità nei confronti della Nato e del governo di Washington, che i nostri governanti sono disposti a seguire ovunque, anche nella tomba, ma portando con sé un intero popolo oggi drammaticamente privo di un’adeguata rappresentanza politica.
La perversa congiunzione tra questi fattori produce l’acquiescenza nei confronti di Netanyahu, che Meloni & C. continuano a sostenere sia politicamente che materialmente, anche attraverso l’invio di armi in chiara violazione di norme interne e internazionali. Ma è giunto il momento di porre fine a questi crimini, attuando sanzioni di carattere anche penale nei confronti di coloro che ne sono responsabili, si tratti del carnefice principale o dei suoi comprimari.
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