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Mantova, senti Mensah: «Sereni e tranquilli per terminare l’opera»

Mantova, senti Mensah: «Sereni e tranquilli per terminare l’opera»

La punta era al Castelnuovo quando l’Acm conquistò l’ultima promozione sul campo. «Un segno del destino? Forse, io però resto pratico. Possanzini mi ha trasformato»

Il babbo di Davis Mensah venne dal Ghana a Bussolengo già nel 1984 per lavorare come marmista nelle tante cave della zona. Due anni dopo lo raggiunse la moglie e nel 1991 nacque il piccolo Davis, che crebbe con il pallone tra i piedi come tanti suoi coetanei e con lo spiccato accento veronese.

I primi calci nella squadra del paese natale e poi il salto al CastelnuovoSandrà in serie D. Dove nemmeno 20enne giocò contro il Mantova di Archimede Graziani sia nella gara di andata a Domegliara, che fu l’unica sconfitta del Mantova in quella stagione (1-0), e sia nel ritorno al Martelli quando quel 3-0 significò promozione in C2 per i biancorossi.

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Segno del destino

Verrebbe da pensare a una sorta di destino, in considerazione di quello che poi Mensah, più di 10 anni dopo, visse al Mantova nel bene e nel male.

«Potrebbe anche essere – sorride Mensah – anche se io sono un tipo pratico e forse anche un po' strano. Dopo gli anni alla Virtus Verona, alla Triestina e al Pordenone, sono venuto qui lo scorso anno con tanti stimoli e voglia di fare bene. Purtroppo sappiamo tutti come andò a finire, con una retrocessione che definire amara è poco. La sera della partita di ritorno con l’Albinoleffe ci trovammo a casa di Erik Panizzi a piangere come bambini. Ecco, forse il destino ha voluto che diventassimo ancora più amici e ci ritrovassimo l’anno dopo per un’avventura del tutto diversa, quasi incredibile».

Nn ho rimpianti, se non quello di non avere incrociato prima Possanzini

Rimpianti? No, o forse sì

In carriera Mensah ha giocato sempre in C ad eccezione di uno scampolo di stagione in B a Pordenone. Possanzini ogni tanto lo pungola dicendo che con i suoi mezzi se non ha sfondato dovrebbe porsi delle domande.

«Sono sempre stato convinto che ognuno ha carriera che si merita – prosegue Mensah – e forse qualche errore l’ho commesso. Quale? Tanti allenatori mi spronavano a lavorare sulla forza. Io non volevo perché una volta, dopo un ciclo in palestra, mi infortunai seriamente. Quest’anno ho trovato Possanzini che ha voluto in tutti i modi migliorarmi, e con l’aiuto suo e del preparatore ho effettuato esercitazioni specifiche. In linea teorica non ho rimpianti, se non quello di non avere incrociato prima Possanzini».

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Un nuovo ruolo

L’allenatore del Mantova ha inoltre il merito di averlo impostato come punta centrale dopo una carriera svolta prevalentemente da esterno. «Tanti altri tecnici, cominciando da Gigi Fresco e proseguendo con Pavanel che ebbi a Trieste, mi dicevano che mi vedevano come attaccante-boa che giocasse più vicino alla porta –racconta – In realtà io non mi sono mai sentito un bomber, preferivo saltare l’uomo in velocità e magari fare assist. Quest’anno il mister mi ha convinto, forse anche perché ho qualche anno in più, grazie al suo modo di lavorare e di preparare le partite. E devo ringraziarlo perché questo ruolo mi piace».

L’attesa

La scalata è quasi compiuta ma Mensah si sente come quell’alpinista che vuole fare gli ultimi metri prima di fermarsi a guardare il panorama. «I ragazzi li vedo sereni e tranquilli e per questo sono fiducioso. Io, caratterialmente, voglio terminare l’opera prima di pensare ad altro. Le esperienze negative del passato mi hanno insegnato a essere cauto. Pensiamo soltanto a preparare la trasferta di Meda col Renate (lunedì 8 aprile, ndr), contro una squadra che deve lottare per la salvezza e ci renderà la vita dura».

«Noi sappiamo qual è il nostro obiettivo e dobbiamo farci trovare pronti – incalza i compagni di squadra – E lasciatemi dire una cosa: se dovesse finire come tutti ci auguriamo mi sentirei di dedicarla anche ai componenti del gruppo della passata stagione. Se sono rimasto qui è anche merito loro».

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