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Giuseppe Conte, il signor mani bucate

Duecento miliardi di euro. È il costo del Superbonus per il Paese, ma che l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte rivendica come suo «capolavoro» politico. In concreto: è stato ristrutturato solo il 4 per cento degli edifici. E l’Europa, ora che le risorse sono finite, esige interventi per la casa green. Auguri agli italiani che dovranno pagare.

Chiedo venia ai miei professori di matematica: non ho mai aperto un libro». Con un raro lampo di autocritica, Giuseppe Conte l’ha persino ammesso: «Facevo gli esercizi al volo». Dati, numeri, percentuali: il brillante giovanotto non si applicava. Filomena De Nittis, sua insegnante al classico, confermò: «Rispondeva ai quesiti di matematica prendendo i discorsi un po’ alla larga». Peraltro, la professoressa aggiunse: «Non avrei mai immaginato che diventasse premier». Non era la sola, a dire il vero. Il duplice aneddoto non bastò. Seguirono ben due governi guidati dal premier più improbabile di sempre. Novecentottantotto giorni filati al potere. E una dantesca targa immaginaria affissa davanti a Palazzo Chigi, diventata monito per i successori: «Lasciate ogni speranza voi ch’entrate».

Sei anni dopo la sua rocambolesca ascesa, si continuano a quantificare i danni di quella lunga stagione turbo-statalista. Sono esemplificati dalla più funesta scelta di politica economica che la storia patria ricordi: il Superbonus edilizio. Un ultrasonico vantaggio destinato a un manipolo di benestanti. Vorreste spendere cento euro? Che fortunelli. Ve ne diamo noi centodieci. Una manna mai vista nel globo terracqueo. Ma nessuna nazione è stata mai in mano a simil-grillini, la fantasia contabile al potere. Costo per le già scassatissime finanze pubbliche, compreso il morigerato bonus facciate fissato al 90 per cento: 200 miliardi. Due-cen-to. Un colossale macigno che ora pesa sul governo di Giorgia Meloni. In cambio, è stato ristrutturato appena il quattro per cento degli edifici italiani. Mentre il resto delle abitazioni tricolore si prepara alla patrimoniale occulta ideata a Bruxelles: le case green volute dai progressisti ecofanatici, eurogrillini in testa. E cosa c’entra il furore ambientale con il megabonus giuseppino? Moltissimo. Per mettere in pratica il vessatorio piano, al momento sembra difficile contare su grandi aiuti statali.

Dopo l’abbuffata, il piatto piange. Alla colorita metafora del banchetto pantagruelico ricorre pure il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: «La cena l’han già mangiata tutti. Si sono alzati e a noi resta da saldare il conto». Il leghista più garbato del creato, da anni, maledice l’epica scorpacciata: «Quando ci penso, mi viene il mal di pancia». È la definitiva nemesi del partito di Conte. Nato al grido del fondatore, Beppe Grillo: «Vi siete mangiati tutto!». E invece sono stati proprio i suoi epigoni ad aver divorato le finanze pubbliche. L’idrovora è stata chiusa a fine 2023, dopo aver già pompato 160 miliardi. Ma i lavori approvati e avviati continuano a drenare risorse.

Eppure Conte, il signor Mani bucate, ipotizzava inizialmente un esborso di appena quaranta miliardi: un quinto della spesa finale. Torniamo ai primi mesi del 2020. In piena pandemia, il governo escogita il bonus delle meraviglie per rilanciare l’agonizzante economia. Diventa l’emblema degli aiuti a ufo. Chi ristruttura, ottiene più di quanto preventiva. L’eccedenza serve per cedere il credito a banche e affini: un diabolico meccanismo che permette ai proprietari di non tirare fuori nemmeno un centesimo. Come insegna l’indimenticabile Cetto La Qualunque: tutto gratis per tutti. La misura «si ripaga da sola», assicura l’avvocato del popolo. In tempi più recenti, uscito da Palazzo Chigi, rimodula: «Io non ho mai detto che il superbonus era una misura che non costava niente: è gratis per le famiglie, non per lo Stato». E però, benedetto Giuseppi, le risorse pubbliche dipendono dalle tasse pagate dagli incolpevoli cittadini, come apprendono alle elementari perfino i più svogliati. Però Mister 200 miliardi lo ignora, visto che ammette di non aver mai aperto un libro di matematica. Oppure, ancor peggio, fa finta di non saperlo.

No, il Superbonus chiaramente non s’è ripagato da solo. Anzi. Nel biennio tra il 2021 e il 2022, ha contribuito per esempio ad aumentare il Pil di un punto percentuale, per circa 18 miliardi. Ma ne ha ciucciati quattro volte di più: circa 70. Così, a inizio 2023, Giorgetti blocca la cessione del credito: «Una politica scellerata nata per creare consenso costata a ogni italiano, compresi quelli in culla, duemila euro». Conteggio che, un anno dopo, va sensibilmente aggiornato: tremila euro a connazionale, neonati compresi. Con un’ulteriore aggravante. Il Superbonus è una patrimoniale rovesciata. Come spiega la corte dei conti, favorisce «i proprietari più dotati di risorse finanziarie». Hanno ristrutturato gratis ville, seconde case e qualche castello. Ma hanno pagato tutti. Compresi i poveri diavoli che faticano ogni mese. Gli ultimi e i penultimi: quelli per cui, a parole, si batterebbe il Movimento. Evocando il salario minimo e sbraitando per il reddito di cittadinanza smantellato.

Insomma: l’ultrasonico vantaggio finisce per avvantaggiare ricconi, immobiliaristi e mani leste. Uno scialo di risorse che rimarrà nella storia. Le baby pensioni degli anni Ottanta, prima dell’avvento dei grillini al potere, erano l’insuperabile emblema di dissipazione. Adesso sembrano quasi donchisciottesche. E mentre arriva il conto finale degli arci-bonus, l’Europa matrigna ratifica la sua ecofollia. Incombe la delirante direttiva sulle case green, entusiasticamente sostenuta a Bruxelles proprio dai grillini e smorzata solo grazie alla pervicacia del centrodestra. Le abitazioni dovranno comunque ridurre il consumo energetico: entro il 2030 del 16 per cento. Cinque anni dopo, la percentuale si alzerà ulteriormente: 22 per cento. La maggior parte delle ristrutturazioni riguarderà il 43 per cento degli immobili: quelli più datati. In Italia, sono ben cinque milioni. I malcapitati proprietari si preparino dunque a una stangata leggendaria: dai 20 ai 55 mila euro cadauno, quantifica il Sole 24 Ore. Cappotti termici, infissi nuovi, basta caldaie a gas. Con sgravi fiscali, per il momento, piuttosto esigui. Da recuperare, per giunta, in un decennio. Altro che superbonus. Non solo rimborsava al momento ogni euro, ma concedeva pure un robusto sovrapprezzo da cedere a banche o poste. Adesso, invece, bisognerà pagare tutto e subito. La maggioranza dei cittadini rischia di ammortizzare l’esborso al camposanto. Disgraziati con il pallino della casa di proprietà, oberati da mutui costosi, travolti da bollette ferali, stremati da spese condominiali lunari. Per adempire alla direttiva, non resterà che maledire Conte e chiedere speranzosi un altro mutuo. Pena vertiginoso deprezzamento dell’appartamento, comprato grazie a decennali sacrifici.

Il Superbonus, però, non è solo la più grande catastrofe contabile di sempre. È anche «una delle più grandi truffe della storia repubblicana» ammette già a febbraio 2022 l’allora ministro dell’Economia, Daniele Franco, un supertecnico di pochissime parole arruolato nel governo Draghi. E pure l’ex presidente della Bce, mentre è a Palazzo Chigi, si scaglia contro i meccanismi fraudolenti. Sempre più infastidito, peraltro, dalla disinvoltura con cui Mister duecento miliardi derubrica a «truffe fisiologiche» quella montagna di illeciti. «Alcuni di quelli che più tuonano sul Superbonus sono quelli che hanno scritto questa legge senza prevedere sufficienti controlli» dice Draghi. I giallorossi, ricorda, rassicuravano i cittadini del contrario: «Sul dépliant delle Poste si poteva leggere che per la cessione del credito “non è necessario fornire alcuna documentazione”». Considerati anche il bonus facciate e l’ecobonus, il parziale consuntivo è iperbolico. L’ultimo dato della Guardia di finanza risale a sei mesi fa. Su 142 miliardi di crediti ceduti, quasi 13 sono frodi. «Il più grande regalo fatto dallo stato a ladri e organizzazioni criminali, lasciando aziende e famiglie per bene in un mare di guai» spiega Giorgia Meloni lo scorso dicembre.

Peggio di Totòtruffa ’62, dove il protagonista prova a vendere la fontana di Trevi. Gli scatenati predoni del superbonus sono arrivati a riscrivere la storia. Inventando cantieri perfino ad Aiudussina, città di confine ceduta nel 1947 alla Jugoslavia e miracolosamente riapparsa sulla cartina geografica nazionale. La più clamorosa frode sul supersonico incentivo sembra, ad esempio, una tragicommedia all’italiana. Lo sgamato commercialista napoletano che ammicca al telefono: «Ha le fatture. Capisci ammè». L’impresario albanese evasore totale. I milioni occultati in Cina. E un fantasmagorico raggiro da 2,2 miliardi di euro. Gli indagati avevano aperto pratiche edilizie persino in 384 comuni che non esistono più. E le sbalorditive ristrutturazioni? Tutto farlocco. Mancavano pure paesi, condomini, immobili, proprietari. Ad aprire i capientissimi cassetti fiscali all’agenzia dell’entrate erano imprenditori morti. O consapevoli vagabondi «senza fissa dimora», in cambio di un centinaio di euro.

«Il Superbonus ha generato crescita, non sia il capro espiatorio del governo» si difende Conte. «Lo Stato italiano è pazzesco, vogliono essere inc... praticamente», esultano invece i razziatori in una delle tante intercettazioni carpite dalle procure di mezza Italia. Il bonus come un jackpot. Lavori mai fatti o sovrafatturati. Grazie, come sempre, al lasco meccanismo della cessione del credito. Decine di inchieste, sempre con lo stesso copione criminale. E centinaia di indagati: malavitosi, delinquenti, impiegati, commercialisti, avvocati. Dediti a imprese diventate leggendarie. Come quelle dell’imprenditore rinominato «il re del bonus». Acciuffato da latitante a Boca Chica, nella Repubblica Dominicana, tra spiagge bianche e acque cristalline.

La banda avrebbe accumulato 440 milioni di euro in crediti di imposta fasulli. Il malloppo sarebbe stato poi reinvestito: attività commerciali, quote societarie, cripto valute, lingotti d’oro, depositi a Cipro e Madeira. Un imbroglio colossale, accusano i magistrati. «Facile come mangiare un panzerotto» si vantano al telefono i predatori. «Lo Stato italiano è pazzesco». Come dargli torto? Altrimenti non si spiegherebbe nemmeno come uno sconosciuto professore di diritto privato, per di più deboluccio in matematica, sia diventato due volte presidente del Consiglio.

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