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Quel kolossal de Il Padrino girato cinquant’anni fa a Trieste

TRIESTE Paradossalmente, anche se il suo ultimo film di successo risale a quasi 30 anni fa (“L’uomo della pioggia” con Matt Damon), è lui il regista più atteso dell’anno con l’annunciato “Megalopolis”, che dovrebbe sbarcare a Cannes. Stiamo parlando di Francis Ford Coppola, leggendario autore di capisaldi della storia del cinema come “Apocalypse Now”, “Il padrino” e “Il padrino – Parte II”.

Tutte le foto su Cineturismo Fvg

Proprio di quest’ultimo, candidato a 11 Oscar e vincitore di sei (compreso quello di miglior film) ricorrono venerdì 12 aprile i 50 anni dal primo ciak delle riprese effettuate per quattro giorni a Trieste. L’organizzatissimo set principale era allestito tra le maestose navate della vecchia Pescheria di Riva Nazario Sauro, attuale Salone degli Incanti. Tredici anni dopo “Senilità”, quando la bellezza di Claudia Cardinale aveva travolto Trieste come la bora, ecco che un altro mito del cinema elettrizzava la nostra città confermandone la cinegenia, lo statuto da grande set, degno addirittura di Hollywood.

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Coppola, all’epoca 35enne, non era solo un importante regista statunitense, era in assoluto il più importante al mondo. Con “Il padrino”, due anni prima, era diventato l’autore più contemporaneo raccontando il lato oscuro del sogno americano, vincendo tre Oscar e ottenendo incassi record. Era il capofila di quella che sarebbe stata la New Hollywood, mentre Spielberg, Lucas e Scorsese dovevano ancora affermarsi.

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Ma come era capitato Coppola a Trieste? Il regista era arrivato in Italia in marzo navigando con la Raffaello, per girare a Taormina le sequenze siciliane del film. Ma era anche alla ricerca di una location che fosse una replica di Ellis Island, l’isola del porto di New York dove i migranti a inizio ‘900 (e fra loro l’undicenne Vito Corleone) attendevano di essere ammessi negli Stati Uniti. L’anticamera del Nuovo Mondo. I collaboratori di Coppola avevano cercato edifici simili a Milano, Torino e Roma. Ma appena vista in foto, la Pescheria triestina divenne per Coppola la prima scelta, con le sue eleganti pensiline liberty, gli ampi finestroni, l’incontaminata aria da primo ‘900. “La location più originale e di maggior successo del film fu Trieste”, sentenziò il suo biografo Peter Cowie nel volume “Coppola” del 1989.

Il primo giro di manovella, quel venerdì 12 aprile 1974, venne dato però nell’anello sotterraneo dell’Ospedale maggiore. Il giorno dopo “Il Piccolo”, titolando “Trieste diventa New York per lo sbarco del Padrino”, scrisse: “Nella finzione, l’angusto corridoio che corre intorno al nosocomio è stato trasformato in quell’opprimente locale dove approdavano a Ellis Island gli emigranti in attesa dei rituali controlli”. A queste prime riprese parteciparono una trentina di comparse triestine nel ruolo di ufficiali medici e migranti.

Sabato 13 venne girato invece l’arrivo in porto del piroscafo “Città di Firenze” (noleggiato) che nella finzione trasportava i migranti e il piccolo Corleone, interpretato da Oreste Baldini, un ragazzino milanese residente a Roma che sarebbe diventato direttore di doppiaggio.

Infine, nei giorni di domenica 14 e lunedì 15, approfittando della doppia festività pasquale del mercato ittico, le riprese si spostarono all’interno della Pescheria. Qui Coppola arrivava dal suo quartier generale dell’Hotel Duchi d’Aosta (dov’era con la famiglia e la figlia Sofia) per orchestrare, insieme al direttore della fotografia Gordon Willis, una troupe di 200 persone all’opera dalle tre del mattino. Nonché un esercito di 700 comparse triestine di tutte le età, ognuna già dall’alba truccata e vestita basandosi rigorosamente su foto d’epoca.

“Il Piccolo” di martedì 16 riportava lo stupore della gente a passeggio sulle Rive in quei giorni, che incrociava, “spalancando gli occhi per la meraviglia, stranissime figure d’altri tempi, orientali impaludati nei loro caratteristici costumi, giovanotti in bombetta, ragazzini cenciosi, giovani e graziose popolane, viaggiatori malandati, la valigia di cartone trattenuta con lo spago e i calzoni a tubo vistosamente rattoppati”. Erano comparse che si allontanavano nelle pause dal set, che invece era “drasticamente proibito ai curiosi, protetto da un inesorabile top-secret intimato dal produttore-regista”.

Inesorabile anche nell’allontanare i fotografi, Coppola si rese però disponibile, alle 21 del lunedì di Pasquetta, a incontrare i soci del cineclub La Cappella Underground di via Franca, dove tra l’altro il regista visionava i giornalieri.

In suo onore il critico Lorenzo Codelli aveva organizzato la proiezione del film che nel 1967 l’aveva rivelato a Cannes, “Buttati Bernardo!”. Ma complice la festività, la saletta (che aveva già ospitato nel 1969 il suo primo produttore Roger Corman) accolse Coppola con uno sparuto drappello (una quindicina) di fan. Prima del film, una volta risposto a Codelli sulle ragioni della scelta di Trieste come set e constatata l’assenza di domande dal pubblico intimidito, molto pragmaticamente, da grande regista, Coppola risolse al volo la situazione: “No questions? Ok, thank you!”. E se ne andò a cena.

L’indomani lui e la troupe partivano per le ultime riprese in Sicilia. E per citare un altro suo film, nei ricordi dei triestini che vi parteciparono, quel magico e fugace set sulle Rive è sembrato, in fondo, “Un sogno lungo un giorno”.

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