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La censura alla tv di monsieur Bolloré viene da sinistra



Il tycoon è stato accusato di scarso pluralismo sulla sua emittente da parte della Ong Reporter sans frontières. E la politica, in testa i macroniani, ne approfitta. In tempi di elezioni, l’obiettivo è un controllo più forte sull’informazione.

«Nessuno è stupido, si capisce benissimo che qui il bersaglio siamo noi!» hanno detto Cyril Hanouna e Pascal Praud. L’atmosfera durante l’audizione parlamentare dei rappresentanti di CNews, avvenuta a marzo, è stata decisamente elettrica. I giornalisti-star del canale conservatore di Vincent Bolloré erano stati chiamati da una commissione parlamentare d’inchiesta sull’assegnazione delle frequenze televisive, chiesta dalla sinistra con lo scopo - non troppo nascosto - di dimostrare lo sbilanciamento politico della rete. In seguito, i due professionisti hanno giudicato così la convocazione: un «interrogatorio in stile Stasi». Definitivi. In quella stessa sede dell’Assemblea nazionale, con modalità un po’ più felpate, è stato quindi ascoltato anche il tycoon bretone... Sì, in Francia sembra sia in corso una sorta di caccia alle streghe contro gli operatori dell’informazione che guardano a destra, con tanto di liste di proscrizione e persino proposte di schedatura. In tempi elettorali - nel Paese in cui il potere di Emmanuel Macron è in calo di consensi ma comunque forte - si punta evidentemente a un maggior controllo dei media. CNews è stato l’esempio più eclatante: da quell’audizione parlamentare può dipendere adesso la sopravvivenza del canale. La commissione dell’Assemblea nazionale presenterà un rapporto destinato a pesare sulle decisioni dell’Arcom, l’ente che assegna le frequenze della TV digitale. Quella di CNews è in scadenza.

Tra l’altro, ben più accomodanti sono stati i toni nel corso delle audizioni di altre emittenti da parte del relatore, Aurélien Santoul, della France Insoumise, formazione di sinistra. Proprio lui, da sempre aspro critico di Bolloré e della sua galassia mediatica, aveva chiesto la creazione di questa commissione d’inchiesta sulle concessioni televisive. Perché se sulla carta stampata è consentito imporre una linea editoriale, nella tv, per ottenere una frequenza in concessione, si deve anche garantire il «pluralismo interno», cioè spazi uguali alle diverse correnti d’opinione. CNews fa il 3 per cento di share, nulla di comparabile con i canali pubblici, però è in forte crescita e soprattutto dà spazio a formazioni di destra, come il Rassemblement National di Marine Le Pen. Altri media televisivi la ostracizzano, compensando l’assenza dell’ospite di questa parte con servizi registrati: la regola si presta a margini d’interpretazione e d’altra parte la stessa rete è stata ritenuta formalmente in regola dall’Arcom. Ma è proprio qui che è esplosa la bomba: l’Arcom aveva archiviato un esposto contro CNews presentato da Reporters Sans Frontières, la ong di difesa dei giornalisti nata politicamente neutrale e ora più vicina alla sinistra.

Delusa dall’Arcom, l’organizzazione non governativa si è rivolta al consiglio di Stato, che ha colto la palla al balzo: l’Arcom ora dovrà rivedere la decisione sulla base di parametri che includano non solo gli ospiti nei dibattiti, ma anche giornalisti e moderatori. Vanno cioè pesati e assegnati alle diverse correnti d’opinione anche i «tempi di parola», per valutare l’equilibrio generale di un canale e all’interno di un programma. Il problema è che, per farlo, bisogna sapere a quale «categoria di pensiero» si dovrebbe ascrivere chi va in video. Non si tratta soltanto di sinistra-destra, ma di posizioni su tutti i temi di dibattito: quel giornalista è pro-transgender o piuttosto conservatore? Se si parla di matrimonio omosessuale o di fine vita, qual è l’orientamento del moderatore?

In Italia, un meccanismo simile era stato proposto di recente da Maria Elena Boschi di Azione, ma è stato rapidamente archiviato come impraticabile. Tornando a Reporters sans Frontières, il suo esposto era basato su un rapporto commissionato a un professore universitario, François Jost. Intervistato da Sud Radio, offriva due alternative: o i giornalisti si dichiarano, oppure dovranno essere assegnati d’autorità alle varie correnti di pensiero, anche verificando se hanno partecipato a manifestazioni politiche, firmato petizioni o altro. Spetta adesso all’Arcom stabilire quei criteri di valutazione e non è detto che segua il «metodo Jost», ma qualunque criterio applichi è difficile immaginare cosa dovrebbe accadere nel caso di un giornalista che su un determinato tema non si è mai espresso o non ha un’idea precisa, o magari l’ha cambiata. Le regole deontologiche della professione evidentemente non bastano più, servono elenchi e caselle.

In questo quadro si inserisce anche la crociata di Libération, storico quotidiano d’area socialista. Prima un articolo del novembre scorso, dedicato ai giornalisti di Bolloré: nomi e fotografie accompagnati da brevi testi in cui venivano descritti come «reazionari», «vicini alla fascio-sfera» o falsificatori. Poi, il 15 marzo scorso, la nuova lista di proscrizione aperta dalla fotografia di André Bercoff, seguitissimo commentatore e intervistatore di Sud Radio e intitolata La Russia ha i suoi media in Francia. «Rilanciare le teorie del complotto, polarizzare l’opinione, dare spazio agli “esperti” meno credibili: da Sud Radio al gruppo Bolloré, certi media servono oggettivamente la strategia del Cremlino per minare le democrazie liberali», spiegava Libération. Bercoff e i giornalisti dell’imprenditore nell’articolo venivano accusati di essere strumenti della propaganda russa.

L’attacco concentrico a CNews è evidente e simultaneo: la commissione parlamentare d’inchiesta presenterà il suo rapporto il prossimo mese, proprio quando l’Arcom inizierà a valutare i dossier per l’assegnazione delle frequenze. Il tutto in piena campagna elettorale per le europee, con un «sistema-Macron» che è in crisi ma, come detto, esercita il controllo quasi totale dell’apparato dello Stato. Tanto che c’è chi sospetta che dietro tutto questo ci sia un’ispirazione dello stesso presidente. Che, in effetti, ci guadagna sotto vari aspetti: mette pressione a Bolloré e indirettamente all’informazione di destra o «fuori dalla verità giornalisticamente stabilita». CNews è costretta sin d’ora a dimostrarsi più accomodante nei confronti della sinistra e dell’area di governo, in attesa dei parametri e delle valutazioni dell’Arcom. Se il canale di Bolloré dovesse poi perdere la frequenza, tra gli interessati c’è Rodolphe Saade, spesso definito «il miliardario di Macron»: il franco-libanese sta completando proprio ora l’acquisto dei media del gruppo Altice, con il canale di informazione economico-finanziaria BFM. Al di là della battaglia politica, è in corso uno scontro tra imprenditori dei media di portata globale, in un mondo che cambia troppo velocemente per le antiquate regole nazionali di tutela dell’informazione.

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