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Omicidio Caruso: «La affogo nel laghetto». Spunta il vocale di Mattia, accoltellato da Valentina

Non un’assassina, solo una donna che avrebbe rischiato di essere vittima dell’ennesimo femminicidio. La conferma? Secondo la difesa i tanti messaggi, intrisi di violenza, scritti dal fidanzato Mattia Caruso, morto per mano di lei. Come il vocale inviato dal giovane via whatsapp, qualche ora prima di essere ucciso il 25 settembre 2022, a un amico fraterno: «Vediamo se sta Valentina mi lascia veramente» dice, spiegando di essere diretto in serata nel ristorante Laghi di Sant’Antonio a Montegrotto, «Secondo te non è perfetto affogarla stasera? L’affogo io nel laghetto fra’... è tutta la scusa di portarla a ballare... La voglio affogare all’amore mio... gli faccio assaggiare il centro del laghetto... Faccio il bravo... Basta che non mi guardano troppo la Valentina perché lo sai che le stecche.

Messaggi violenti

Tutto sbagliato secondo i legali che osservano: «Non resta che constatare l’abbaglio in cui è incorsa la Corte d’assise di Padova». Negato l’omicidio volontario («La situazione è il copione di centinaia di femminicidi: non si tollera di essere lasciati; pena, la morte della donna»), e aperta la strada a tre diverse ipotesi di reato rispetto alle quali valutare il comportamento di Valentina nel giudizio di secondo grado (il terzo e ultimo è in Cassazione): la legittima difesa, un eccesso colposo di legittima difesa (si ha quando l’imputato ha esagerato nella reazione) se non addirittura una legittima difesa putativa (l’imputata potrebbe aver ucciso convinta di trovarsi esposta a un serio e imminente pericolo di vita).

Diversa ricostruzione

E, allora, davvero Mattia era un uomo follemente innamorato e lei una subdola manipolatrice? Il profilo della relazione fra i due, tracciato dalla pronuncia di primo grado, è totalmente contestato dai difensori dell’imputata anche in forza di alcune foto che ritraggono Valentina con evidenti lividi sul corpo. E di una serie di ulteriori messaggi scritti da Mattia «che considerava Valentina alla stregua di un animale» notano i legali.

Al fratello Mattia scrive: «Fra’ l’ho pestata dopo la terza non si alzava più», e giù di insulti e pesanti riferimenti sessuali. Altri messaggi, sempre in un italiano stentato, parlano di occhi viola e altre violenze, condite da bestemmie e una sentenza: «L’ho massacrata».

Non era amore

Quella sera di un anno e mezzo fa i due rientrano a Padova, con la macchina di Valentina, dopo aver trascorso qualche ora a una festa nel ristorante di Montegrotto. Mattia guida velocissimo, la 32enne è seduta accanto. C’è una lite.

Il giovane – ha sostenuto l’imputata – l’avrebbe minacciata di morte (di gettarla da una vicina pista di lancio degli alianti) e lei chiede inutilmente di scendere, così afferra un coltello lasciato vicino alla leva del cambio dal ragazzo e sferra un fendente centrando il cuore («L’ho colpito al petto, non ho guardato dove, ho solo steso il braccio»). «Un atto d’impeto» sottolineano i legali, evocando la provocazione, «nel tentativo di uscire dalla spirale di vessazioni in cui si era ritrovata... Voleva fermare il suo aguzzino Valentina, incapace di affrontare la violenza del Caruso nel corso delle sue crisi dovute all’abuso di alcol». Ma quale femme fatale, dunque. Quello tra i due non era amore bensì un rapporto «in cui la violenza subita da Valentina era la regola, non viceversa. E non può essere messa in discussione dagli sporadici tentativi di costei di arginarla... Viene da chiedersi: cosa avrebbe dovuto fare per essere, prima o dopo, considerata? Valentina ha raccontato solo la verità, cruda e dolorosa, di terrificanti violenze subite così come l’irreparabile, insano e abnorme gesto compiuto dalle conseguenze di non ritorno».

Valentina vittima di violenze come tante donne? I legali citano i dati del Ministero dell’Interno: «Nel 2023 sono state assassinate 120 donne, oltre il 50% per mano del partner o dell’ex, e il 20% per mano di altri parenti. La maggior parte aveva subito violenze prima che il loro assassino concludesse l’opera. In moltissimi casi le vittime di femminicidio non avevano abbandonato il loro carnefice».

I difensori insistono sulla «bestiale violenza alla quale la parte offesa (cioè Mattia) ha sottoposto ripetutamente l’imputata. Sconcertante, disorientante il fatto che, dopo aver citato messaggi in cui lei rinfaccia a lui di averle “spaccato la bocca” e “fatto un occhio nero”, la Corte d’assise tragga, da successivi messaggi di reazione della donna (“io non mi faccio picchiare da nessuno”), anziché l’ulteriore prova della bestiale violenza, la conclusione che non vi fu “nessuna sudditanza, nessuna paura, un rapporto alla pari”». Chiaro il quadro: «La situazione è il copione di centinaia di femminicidi. Non si tollera di essere lasciati, pena la morte della donna». La parola passa ai giudici di secondo grado.

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