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Eleonora Duse e Trieste un legame custodito fino all’ultimo respiro

Eleonora Duse e Trieste un legame custodito fino all’ultimo respiro

Cent’anni fa moriva la Divina in un albergo di Pittsburgh sognando il mare della città giuliana Tanti successi e un unico fiasco, La signora delle camelie. Qui debuttò nell’ultima produzione

TRIESTE Il 21 aprile del 1924, in un albergo di Pittsburgh, ove era giunta per tenere alcune recite, moriva la “Divina” Eleonora Duse. Già da tempo indebolita dalle eccessive fatiche, fu vittima di una polmonite contratta nella cittadina americana.

Ricordata tra le attrici più grandi nella storia del teatro, la Duse ebbe una carriera internazionale: recitò, sempre in lingua italiana, in tutta Europa, in Russia e in America, facendo conoscere ovunque la propria arte e il nome del nostro Paese. Patriota convinta, nel corso della prima guerra mondiale aveva assistito i nostri soldati, spesso recandosi al fronte non per recitare, ma per offrire il suo conforto a coloro che soffrivano.

Nel gennaio del 1909 si ritirò improvvisamente dalle scene. Vi rimase lontana per ben dodici anni, con un’unica interruzione nel 1916, per recitare in Cenere, film muto tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda, oggi unico eccezionale documento tangibile della sua arte. Sollecitata da impresari e ammiratori, acconsentì a tornare in palcoscenico nel maggio del 1921, a Torino, dove propose La donna del mare. Fu un evento senza precedenti, che richiamò a teatro un pubblico immenso e l’intera critica nazionale. Con una decisione assolutamente inaspettata, la Divina, ormai sessantenne e con una vistosa chioma canuta, volle impersonare un ruolo giovane rifiutando di nascondere la significativa differenza d’età con il ruolo. Il risultato fu sorprendente, perché nessuno percepì questa dissonanza, dal momento che la Duse riuscì a fondere perfettamente in sé l’interiorità del personaggio.

Contesa dai principali palcoscenici italiani, sembrò tuttavia manifestare una particolare predilezione per Trieste, città nella quale tornò con regolarità per tutto l’arco della sua luminosa carriera, spesso proponendo lavori che altrove presentò con maggiore parsimonia. Significativa, a tale proposito, la scelta della città giuliana per debuttare, nel 1905, nell’ibseniano Rosmersholm, testo che la Duse, sempre aperta a nuove sperimentazioni, volle proporre in una sua traduzione.

La predilezione per la città giuliana va messa in relazione sia ai gusti culturali del pubblico sia al vivo spirito di italianità che animava allora Trieste. Ma non vanno trascurati i sinceri legami con i coniugi Silvio e Dalia Benco e l’amicizia con la vedova di Slataper.

A Trieste Eleonora giunge la prima volta nel 1863, ad appena cinque anni, assieme alla compagnia paterna: sul palcoscenico del Teatro Filodrammatico interpreta il ruolo di Cosetta in una riduzione teatrale de I Miserabili di Hugo. Dopo questa prima apparizione, torna in città nel 1877, come seconda donna della compagnia Dondini-Drago. Sono gli anni di apprendistato, il periodo in cui l’attrice si accontenta di rivestire ruoli di contorno. Nel corso della tournée triestina recita poco, perché il pubblico non gradisce l’atteggiamento dimesso e la voce dalle inflessioni inconsuete.

È tuttavia nel 1884 che la Duse si rivela al pubblico triestino quale prima attrice con un repertorio che comprendeva Scribe, Dumas, Torelli, Goldoni, Verga e Sardou, che andranno a costituire per parecchi anni il nucleo stabile del suo repertorio.

Ma non fu sempre amore tra la Duse e la platea triestina: nel 1884 La signora dalle camelie, uno dei suoi cavalli di battaglia, fu un mezzo fiasco. Nocque probabilmente alla Duse il confronto diretto con Sarah Bernhardt, che solo due anni prima, sullo stesso palcoscenico, si era esibita nel medesimo ruolo. Questo insuccesso sarà ricordato dalla Duse come uno dei più dolorosi della sua carriera.

Divenuta capocomica, tornerà molte volte a Trieste, soprattutto sul palcoscenico del Teatro Comunale dove, nel 1892, propose una delle sue più celebri interpretazioni, Una casa di bambola di Ibsen. Negli anni successivi fu ancora al Verdi con La Gioconda, La città morta e Francesca da Rimini di D’Annunzio, presente l’autore.

Mito vivente, la Divina torna per l’ultima volta a Trieste nell’ottobre del 1922 dove, il 18 ottobre, fa debuttare quella che sarebbe stata l’ultima produzione della sua carriera, Spettri di Ibsen, al fianco del giovanissimo Memo Benassi. Si trattò di un evento eccezionale non solo per la presenza della grande attrice, ma anche per la storia interpretativa di questo testo che, per la prima volta in Italia, vedeva restituita piena centralità al ruolo della madre.

Il 10 ottobre 1923 la Duse si imbarcava per il Nord America, per esibirsi in numerose città e dove, a Los Angeles, venne applaudita anche da Charlie Chaplin. La sua ultima recita si tenne al Teatro Syria Mosque di Pittsburgh, il 5 aprile 1924, dove presentò La porta chiusa di Praga.

La morte della Divina ebbe grande eco in tutto il mondo e Trieste non fu da meno. Nei giorni successivi alla scomparsa, venne riportata sul “Piccolo” la notizia che la Duse, nel delirio che precedette la morte, aveva creduto di trovarsi a Trieste e aveva chiesto di aprire le finestre della sua stanza d’albergo per poterne ammirare il golfo. La notizia ha il sapore dell’aneddoto, ma testimonia dell’affetto e della stima sinceri del pubblico triestino per la grande attrice.

La Divina Eleonora riposa ad Asolo, cittadina da lei scelta quale ritiro degli ultimi anni: adempiendo alle sue volontà, la tomba è rivolta al Monte Grappa, «per amore dell’Italia e dei suoi soldati». —

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