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Carciofi ai minimi storici ma Sant’Erasmo resiste e conquista anche i giovani

Nel resto d’Italia li usano come concime. Con una stima di guadagno di 15 centesimi al pezzo, d’altronde, non valgono più neanche la fatica di portarli dal campo al mercato. Complessi da coltivare, ma anche da preparare, i carciofi sembrano destinati al novero degli ortaggi lasciati indietro, usciti dalle preferenze dei consumatori e dalle ambizioni dei coltivatori.

A meno che non siano “violetti”, che non arrivino dall’isola di Sant’Erasmo. Lì dove l’antica, vasta produzione della Serenissima si è trasformata in nicchia ristretta, grazie anche all’attività di un consorzio di tutela, la tendenza è invertita e anche quest’anno, come ogni anno, “castraure” e “primi botoli” sono attesissimi - e all’ingrosso toccano i due euro l’uno, 14 volte le cifre delle altre varietà.

«Nella vendita diretta eravamo abituati a trovarci di fronte una clientela anziana, proprio perché si tratta di un prodotto che bisogna saper lavorare in cucina, negli ultimi tempi però i giovani che li richiedono stanno aumentando, l’interesse è in crescita», conferma Michele Borgo, responsabile di Coldiretti, membro del consorzio e coltivatore di Lio Piccolo, «Di fatto il nostro è un prodotto “a tiratura limitata”, e questo ci garantisce un guadagno adeguato: a Sant’Erasmo un agricoltore può ancora pensare di fare reddito con i carciofi».

Il che, comunque, non significa che sia un lavoro facile, anzi: «Si tratta di colture che occupano i campi per nove mesi, quindi ci si espone ai rischi di tutte le stagioni. La raccolta avviene esclusivamente a mano, solo per la pulitura è possibile adesso qualche leggera forma di meccanizzazione, ma è comunque una rarità». Soprattutto, però, a preoccupare sono i cambiamenti climatici: «La coltivazione della varietà di Sant’Erasmo è possibile esclusivamente nella sacca climatica della laguna, basti pensare che a Cavallino, con una sola differenza di due gradi rispetto a dove si trova la mia azienda, non si riuscirebbe a coltivare alla stessa maniera».

Gli inverni temperati sono insomma il segreto del carciofo violetto, o almeno lo erano fino a vent’anni fa: «Tradizionalmente la prima raccolta da noi dovrebbe essere a San Marco, il 25 aprile. Quest’anno abbiamo iniziato a fine marzo. E finiamo per sovrapporci a Livorno, litigandoci i consumatori. Anche i nostri carciofi perdono valore a fine produzione, quando la pianta risponde naturalmente allo stress con fiori più duri». Ecco, allora, che l’azione del consorzio diventa fondamentale: «Oggi», conclude Borgo, «con il clima caldo tutto l’anno si potrebbero coltivare violetti pure a San Donà. Ma non sarebbe la stessa cosa».

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