World News in Italian

Luigi Sbarra: «Il sindacato deve uscire dal modello del ’900»



La «diversità» della sua organizzazione rispetto alla cgil. E poi la battaglia contro la cattiva occupazione... Il segretario generale della Cisl indica a Panorama gli obiettivi dell’impegno alla vigilia del primo maggio: gestione delle grandi crisi aziendali dall’ex Ilva a Stellantis, un freno alla fuga dei giovani dall’Italia, il controllo all’intelligenza artificiale, l’Europa realmente unita. Un programma che tutela gli interessi collettivi, ma non chiude al dialogo.

Alla vigilia del primo maggio con prologo polemico tra il segretario della Cisl e Maurizio Landini della Cgil, Panorama ha chiesto a Sergio Sbarra di fare un punto sull’attualità sindacale.

Per il Primo maggio con Cgil e Uil avete scelto questo tema: «Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale». A poche settimane dal voto europeo non c’è il rischio che diventi un tema di militanza e di conflitto?

Non vedo questo rischio. Come sindacato, siamo coscienti che gran parte della legislazione sociale e a tutela del lavoro è di derivazione europea. È necessario che l’Ue promuova uno sviluppo sostenibile e inclusivo per aumentare la solidarità sociale. Sono obiettivi che dovrebbero unire, non dividere la politica in tifoserie opposte. L’Europa, dopo il sostegno alla spesa pubblica per uscire dalla crisi del Covid, non deve ritornare alle politiche restrittive. Va resa strutturale la mutualizzazione del debito pubblico, già sperimenta con i «bond» per il Pnrr, per sostenere gli investimenti pubblici necessari. Occorre più flessibilità del patto di stabilità e più integrazione nella gestione delle finanze pubbliche, nella sanità, per il fisco e politiche agricole e industriali. Questo diremo a Monfalcone il primo maggio.

Sarete insieme dopo che Landini ha detto: chiedete a chi davanti ai morti di Suviana ha deciso di non scioperare...

Ho risposto allora e ribadisco che quella è stata un’uscita improvvida: la piaga delle morti e degli infortuni sul lavoro impone l’unità dei lavoratori. Quanto alla Cisl lo sanno tutti e lo sa pure Maurizio Landini che subito dopo gli eventi di Suviana, abbiamo proclamato quattro ore di sciopero nazionale in Enel affiancato da una identica mobilitazione in tutte le categorie private della provincia di Bologna.

L’Europa ha messo in crisi l’auto, gli imballaggi, l’acciaio, l’agroalimentare, l’edilizia con un’idea di transizione ecologica che è imposizione di limiti e vincoli. Avete critiche da muovere?

La crisi climatica in corso ci fa dire che la transizione ecologica è una necessità, che va perseguita senza ideologismi e senza far gravare i costi su lavoratori e piccole imprese: non si può giocare la sostenibilità ambientale contro quella sociale. È necessaria una maggiore integrazione tra le diverse politiche: serve un patto che coinvolga le forze sociali e che abbia al centro il lavoro e la coesione sociale. Ci sono segnali positivi dall’Europa: si sta lavorando a un nuovo assetto istituzionale - la prossima legislatura sarà costituente - e si intravede la prospettiva di una politica industriale comune. Vanno però riorganizzate le catene del valore altrimenti si finirà schiacciati tra Cina, India e Stati Uniti. Insomma, il nostro obiettivo deve essere quello di diventare leader del cambiamento in corso.

L’Europa a cui vi richiamate è anche quella che rende impossibile il rilancio di Ita, la compagnia del nostro Paese nata dalle ceneri di Alitalia?

L’ennesima notizia sul tentennamento della Commissione europea riguardo alle «nozze» Ita-Lufthansa ci preoccupa assai. Lo Stato ha impegnato delle risorse sulla compagnia di bandiera: prima si risolve il problema dell’alleanza, prima quelle risorse si possono recuperare.

Crisi Ilva-ArcelorMittal: come se ne esce? È tempo di «ripubblicizzare» alcuni comparti produttivi strategici?

L’alternativa pubblico - privato rimanda a ideologie novecentesche oramai superate. È necessario, piuttosto, partire dalla consapevolezza che l’acciaio è indispensabile. Occorre maggiore dialogo tra governo, azienda e sindacati per un piano industriale che rilanci l’attività produttiva dell’ex Ilva e il ruolo strategico della siderurgia nel nostro Paese e nel Mediterraneo, visto che Taranto è l’impianto più grande dell’area.

Automotive: è d’accordo con gli incentivi a prodotti che vengono dall’estero? E la trattativa con Stellantis come sta procedendo?

Per noi è fondamentale salvaguardare, difendere, migliorare il settore dell’automotive e della componentistica italiana in cui l’Italia ha espresso un suo primato. Nostro intento è puntare su prodotti e manodopera italiani strategici per la ripresa interna economica e occupazionale. Se, da una parte, abbiamo appreso con favore le parole di Carlos Tavares per realizzare 15 nuovi modelli nei prossimi anni negli stabilimenti italiani, consideriamo ancora le risposte di Stellantis del tutto insufficienti. Perciò abbiamo appoggiato i metalmeccanici che a Torino si sono mobilitati. Basta con le promesse o con i discorsi fumosi. L’auto deve tornare centrale nello sviluppo industriale come avvenne con la stagione di Sergio Marchionne, dove attraverso il ruolo responsabile di una parte del sindacato si fecero investimenti importanti e scelte innovative anche contrattuali.

Si discute molto del «lavoro povero». Quali sono i provvedimenti più urgenti?

Il lavoro povero ci conferma come la criticità più importante del nostro tempo, nel lavoro, sia nella qualità più che nella stabilità. Si vede che questo tipo di occupazione è annidato soprattutto nei moltissimi part time involontari, specialmente femminili, nel lavoro nero e grigio, nei falsi tirocini extracurricolari, nelle cooperative spurie. Combattere il lavoro povero vuol dire agire su alcuni piani paralleli. Di certo non è con referendum sull’articolo 18 come propone la Cgil che guarda al passato che si risolve questo problema. Serve una nuova politica dei redditi, con una riforma fiscale che sgravi le buste paga (e anche le pensioni) più basse, il rinnovo di tutti i contratti pubblici e privati, il controllo rigoroso di prezzi e tariffe. In secondo luogo un salario minimo di natura negoziale. Terza e fondamentale direttrice sono i controlli e le ispezioni. Alla base di tutto resta, poi, l’esigenza di avviare massicci investimenti e avere potenti politiche attive, la formazione e le competenze del lavoro.

La rivoluzione dell’Intelligenza artificiale vi spaventa?

L’innovazione non deve spaventare e non mi convince un dibattito tutto giocato tra apocalittici e integrati. L’intelligenza artificiale ha enormi potenzialità sia per un miglioramento generalizzato della qualità del lavoro, sia per favorire la ripresa della produttività, che all’Italia manca dall’inizio degli anni Novanta. È, però, necessario tenere sotto controllo i possibili effetti perversi. Per questo è necessario dare rapida attuazione all’accordo tra i sindacati e le associazioni imprenditoriali europee sulla digitalizzazione, che prevede la partecipazione dei lavoratori.

C’è una crisi di rappresentanza del sindacato?

Se guardo alla Cisl, no. Lo scorso anno abbiamo avuto un aumento di tessere generalizzato: 53 mila iscritti in più tra i lavoratori attivi, oltre centomila nell’ultimo triennio. È la conferma di come la Cisl, un sindacato riformista, autonomo, contrattualista, sia in presa diretta con i bisogni e le aspettative di una società in rapido mutamento. Non so dire per altri. Va data piena attuazione all’articolo 46 della Costituzione che prevede il diritto dei lavoratori a partecipare alle scelte e agli utili delle loro aziende. Questa l’impostazione alla base della nostra proposta di legge popolare, in corso di approvazione alla Camera, su cui chiediamo una convergenza di tutte le forze politiche. Sarebbe un formidabile traguardo di civiltà. Altri mi pareche abbiano scelto strade di pura rivendicazione.

Non ritiene che si debba ripensare il welfare per liberare risorse sia per aumentare i salari che la produttività?

Serve una nuova politica di concertazione. Perciò abbiamo lanciato l’idea di un nuovo «accordo della responsabilità» che unisca istituzioni e fronte sociale riformista per far crescere i salari e le pensioni falcidiati da anni di inflazione, per abbassare le tasse a lavoratori e pensionati, a ceti medi e famiglie, per rinnovare tutti i contratti, rafforzare la sanità, la scuola e la pubblica amministrazione. Bisogna sostenere lo sviluppo con maggiori investimenti pubblici e privati e redistribuire più equamente la ricchezza. Bisogna remare tutti nella stessa direzione, ripensando anche i sistemi di welfare e il loro finanziamento per quella crescita equa tanto invocata dalla Cisl.

I giovani paiono voltare le spalle al sindacato. Che cosa si può fare?

Per coinvolgere i giovani, il sindacato deve avere ben presenti le caratteristiche economiche e sociali di ogni territorio, in modo da intrecciare tutele contrattuali, servizi all’impiego, politiche attive e formazione. È una grande sfida. Bisogna fermare la fuga dei nostri giovani all’estero - nell’ultimo ventennio se ne sono andati in 3,5 milioni, con meno di 35 anni - investire sul lavoro, contrastare le marginalità prodotte da una inoccupazione che costringe a casa quattro ragazzi su 10.

Читайте на 123ru.net