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Morte di Stefano nel pozzo a Gorizia, venerdì ci sarà la sentenza

GORIZIA. Il nesso di causalità, l’eventuale sussistenza dell’aggravante legata alle violazione delle norme in materia infortunistica sul luogo di lavoro, le effettive prerogative del Curatorio della Fondazione Coronini Cronberg e la questione delle sanzioni. Sono questi i temi intorno a cui ha ruotato la penultima udienza del processo nel quale i componenti del Curatorio della Fondazione Coronini Cronberg sono chiamati a rispondere dell’accusa di omicidio colposo per la morte di Stefano Borghes, il tredicenne precipitato nel pozzo del parco di viale 20 Settembre durante una gara di orienteering organizzata la mattina del 22 luglio 2020 nell’ambito del centro estivo “Estate tutti insieme”.

Nella seconda udienza dedicata alle arringhe delle difese, i legali dell’ex assessore regionale Tiziana Gibelli (Franco Dal Mas e Pierfrancesco Scatà) e del componente cooptato supplente Bruno Pascoli (Franco e Dario Obizzi) hanno chiesto al giudice Cristina Arban l’assoluzione dei loro assistiti come avevano già fatto la scorsa settimana i colleghi per il sindaco Rodolfo Ziberna (Antonio Montanari), per l’ex direttore della Biblioteca Statale Isontina Marco Menato (Paolo Menato e Christian Serpelloni), per il direttore del Servizio Ricerca, musei e archivi storici dell’Erpac Raffaella Sgubin (Francesco Donolato) e per il commercialista Maurizio Boaro (Enrica Lucchin).

Lunghi e articolati gli interventi dei difensori di Gibelli che hanno parlato di «capo d’imputazione cedevole» in quanto da un lato Stefano era soggetto alla vigilanza del centro estivo, dall’altro perché lo Statuto dell’ente, oltre ad affidare la gestione dell’ordinaria amministrazione al direttore (e non al Curatorio), prevede che nel parco non possano essere organizzare attività sportive o ludiche. L’avvocato Dal Mas ha sottolineato che nel caso della Fondazione c’è di fatto una delega di gestione «chiara, limpida, netta e adamantina» che toglie ogni responsabilità al Curatorio. Concetti poi sviluppati dal collega Scatà che, prima, ha ricostruito la catena di eventi che ha portato Stefano a salire sulla copertura del pozzo, poi ha contestato l’aggravante in materia infortunistica, sottolineando che tutto l’impianto normativo è calibrato sullo status del lavoratore; tema, questo, toccato anche da Dario Obizzi che, a sua volta, è entrato nella questione ricordando che lo scopo della norma è evitare che per il lavoratore «si aggiunga un pericolo a un altro pericolo».

Come già fatto dai colleghi nella scorsa udienza, i legali di Gibelli e Pascoli hanno ribadito la funzione meramente politica e culturale del Curatorio che delegava ogni decisione amministrativa e tecnica al direttore. Nel caso di Pascoli, poi, Franco Obizzi ha aggiunto che lo Statuto prevede la nomina di membri cooptati supplenti per evitare che la morte, la rinuncia o la decadenza dei due componenti effettivi potesse paralizzare l’operatività dell’organo di inidrizzo. «I due componenti effettivi hanno sempre partecipato alle riunioni e, dunque, Pascoli non è stato mai nemmeno componente a pieno diritto del Curatorio», ha spiegato Obizzi.

Venerdì prossimo ci saranno le eventuali repliche, quindi il giudice Arban emetterà la sentenza. Nella requisitoria il pm Ilaria Iozzi aveva chiesto 4 anni e 3 mesi di reclusione per il sindaco Ziberna e 4 anni per i rimanenti cinque componenti del Curatorio.

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