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Crisi diplomatica Belgrado-Lubiana: «Dai politici sloveni azioni disgustose»

BELGRADO Gli sloveni – sottinteso, ma non troppo, i loro politici? «Disgustosi». E scatta la “rissa” diplomatica, in quella che appare essere una delle più gravi crisi sull’asse Lubiana-Belgrado. Crisi la cui miccia è stata l’accesissima seduta del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che questa settimana ha affrontato la questione Kosovo, vedendo sfidarsi a colpi bassi il presidente serbo Aleksandar Vučić e l’omologa kosovara Vjosa Osmani.

Consiglio, in cui siede come membro non permanente anche la Slovenia, che secondo la Serbia avrebbe ordito una vera e propria trappola a Vučić, consentendo a Osmani di portare con sé nel Palazzo di Vetro quattro donne kosovare, violentate dai serbi durante la guerra del 1999, il tutto – almeno secondo Belgrado – in conflitto con le procedure del Consiglio. L’obiettivo, orchestrare un “processo” a Vučić e alla Serbia per i passati crimini, la versione di Belgrado.

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Trappola, aveva così spiegato Vučić dopo la sessione del Consiglio, che sarebbe stata predisposta in particolare «dagli americani, dagli svizzeri e dagli sloveni» e «non si sa chi sia più disgustoso, se gli sloveni o gli altri», le durissime parole del capo di Stato serbo.

Parole che «hanno scioccato» gli sloveni comuni, ha raccontato ieri il reporter della Tv N1 Miha Oresnik, mentre la leadership politica in Slovenia non è rimasta a guardare, anzi. Ad aprire le danze, il ministero degli Esteri di Lubiana, che ha convocato l’incaricato d’affari serbo – l’ambasciatore ancora non è stato nominato, altra questione delicata – per esprimere sconcerto. «Vogliamo delle spiegazioni, delle scuse», ha preteso da parte sua la titolare del dicastero, Tanja Fajon, sottolineando poi che l’attacco a gamba tesa della Serbia non rientra certo «nello spirito di buon vicinato o nelle relazioni amichevoli», soprattutto perché l’insulto è stato rivolto «a un’intera nazione». «Ci attendiamo che la Serbia agisca nel rispetto dei valori europei», ha aggiunto.

Duro anche il premier sloveno, Robert Golob, che ha definito le parole di Vučić «profondamente insultanti». «Come membro del Consiglio di Sicurezza, la Slovenia lavora per promuovere la riconciliazione tra le nazioni», ha sottolineato, chiedendo «un atteggiamento rispettoso verso i nostri sforzi», il minimo «che si attende dal presidente dell’amica Serbia». Amica? Forse un tempo. Lo suggerisce la piccata replica del ministro degli Esteri serbo, Ivica Dacic, che ha ribattuto che è «la Slovenia a doversi scusare per aver violato la nostra integrità territoriale riconoscendo il Kosovo e per il fatto che il Consiglio di Sicurezza Onu ha violato tutte le regole».

«Vučić non deve alcuna scusa», le politiche «della Slovenia verso la Serbia sono rivoltanti», ha rincarato ieri l’ex capo dei servizi serbi, Aleksandar Vulin. Vučić, da parte sua, ha provato a contenere i danni, spiegando che le sue parole erano rivolte ai politici, non alla gente comune. «Se ho offeso qualcuno, mi scuso davanti all’opinione pubblica slovena nella sua interezza, ma non mi scuso con i politici sloveni, che perseguono una disgustosa politica verso la Serbia e i serbi», ha però ribadito.

E sono parole che non faranno che approfondire gli attriti esistenti – causati anche da altre questioni ancora aperte. Come il mancato ok sloveno all’ambasciatore serbo scelto da Belgrado, Zoran Djordjevic, pare per questioni di sicurezza. O il “Watergate” serbo-sloveno, che avrebbe visto Janša e Vučić tentare di ricevere segretamente informazioni scottanti sugli sfidanti politici prima del voto, faccenda ancora col sapore di giallo.

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