Dal clarinetto ai campi coltivati a Feltre: Caneve ora punta a un vigneto resistente
Piace pensare a lui come a un novello Dioniso che nutre la natura di sudore e “arte delle Muse”: Antonio Caneve, classe 1998, nato cresciuto a Feltre, laureato al Conservatorio in clarinetto che suona in prestigiosi teatri in Italia e all’estero, per il futuro guarda alla sua terra. A Vellai coltiva ortaggi a chilometro zero e pensa a far attecchire un vigneto Piwi, quelli che si mantengono sani con una spruzzata di verderame come ai vecchi tempi, senza fitofarmaci.
«L’agricoltura deve essere un’arma contro lo spopolamento della Provincia di Belluno». Di questo è convinto Antonio Caneve. Che racconta: «L’anno scorso io e la mia famiglia abbiamo deciso di aprire una azienda agricola nei terreni vicino casa, a Vellai, dove sono nato e cresciuto. Stiamo recuperando dei terreni che per la maggior parte erano abbandonati e trascurati. Fino solo a 15 anni fa, quando ero bambino, tutta la riva era ben curata. Adesso, man mano che gli anziani abbandonano le attività agricole, il bosco avanza sempre di più».
Cosa coltivate?
«Il primo anno abbiamo piantato principalmente verdure, in totale un ettaro qui a Vellai: zucche, zucchine, patate, cappucci, cipolle, piselli, verze. Un po’ di tutto. La maggior parte del prodotto lo conferiamo alla “Cooperativa La Fiorita” per i propri punti vendita di Busche e Trichiana. Mi ha stupito l’attenzione e la richiesta dei clienti. Vendiamo tutto, ma proprio tutto quello che produciamo, non si spreca niente. C’è grande attenzione ai prodotti naturali e locali, buoni e sani, ma i produttori sono pochi».
… e i giovani ancora meno:
«Senza il supporto della mia famiglia probabilmente non lo avrei fatto. La burocrazia spesso è opprimente. Sicuramente l’attrattività che hanno le fabbriche per i giovani è alta, ma le alternative e i contributi ci sono, poi sicuramente serve una grande passione. In cambio però si hanno belle soddisfazioni, un lavoro sano e all’aria aperta e si può far mangiare a tutti un cibo sano e giusto oltre che ecologico».
E i progetti futuri?
«Oltre agli ortaggi, che coltiviamo nella parte in piano dell’appezzamento, pianteremo vigneto sulle rive più pendenti e difficili da coltivare. Ho sempre avuto una passione per il mondo del vino e sono convinto che anche il Feltrino possa dire la sua. Basta guardare la storia locale, osservare vecchie foto o parlare con gli anziani. Anche qui a Vellai sulle rive i vigneti non mancavano, come a Fonzaso, Agana, Mugnai o Arsiè. Poi negli anni ‘60 è stato tutto abbandonato in favore dell’allevamento, che però non valorizza i terreni marginali».
Sapete già che varietà pianterete?
«Dal 2018 ho iniziato a sperimentare con le varietà resistenti alle malattie, le cosiddette Piwi,qui nel terreno vicino casa. Col 90 per cento in meno di trattamenti rispetto ad un vigneto tradizionale o a un normale frutteto, praticamente come i nostri nonni, con 2 o 3 trattamenti naturali con verderame e zolfo, l’uva arriva sana a fine stagione. Ho visto che quelle che meglio si adattano sono i Pinot resistenti».
Con le varietà resistenti quindi sarete certificati Bio?
«Col tempo spero di diventarlo, ma il percorso è lungo. In realtà le varietà piwi sono super-bio, nel senso che in molti vigneti bio si fanno comunque più di 20 trattamenti all’anno, cosa folle secondo me, dal momento che queste nuove varietà frutto di selezione ti permettono di farne solo due. La riva è comunque soggetta al controllo delle Belle Arti; quindi, prevediamo di usare solo pali in legno, fili in corten e di creare un paesaggio equilibrato col contesto, anche tramite l’integrazione con piante da frutto, come si faceva una volta. Verranno anche ripristinati i vecchi terrazzamenti di cui ormai rimangono poche tracce, ma che una volta erano essenziali per rendere coltivabili anche i terreni più impervi».
Imparare dal passato per guardare al futuro quindi?
«Esattamente. In un periodo di cambiamenti climatici, emigrazione di giovani (mio fratello lavora a Londra per esempio e anche io, se non si fosse messo di mezzo il Covid, sarei rimasto all’estero), sicuramente imparare dal passato può aiutare, insieme comunque con le nuove tecnologie e possibilità che oggi abbiamo a disposizione.