Federico Buffa: "Vi racconto il mio Feff"
Federico Buffa è il più ipnotico narratore sportivo di una Tv che si è dimenticata, ormai da troppo tempo, di come impedirti il cambio veloce di canale (accade spessissimo) o di andare in bagno.
Con lui stai lì imbullonato sul divano, poche storie, e non ve lo diciamo perché Buffa in persona è seduto di fronte a noi nel foyer del Giovanni da Udine in pieno tornado Feff, luogo peraltro irrinunciabile per il giornalista, scrittore ed ex avvocato, volto amato di Sky e docente internazionale di Nba, è semplicemente una sacrosanta verità.
La sua fedeltà al Far East è encomiabile. Ogni anno la vediamo dentro e fuori dalle sale con una certa energia.
«La media è alta: cinque film al giorno».
E da quanti anni sceglie Udine per attraversare fine aprile in compagnia del cinema?
«Questo festival l’avrei seguito da quando cominciò, ma si è sempre scontrato con le telecronache del basket americano, tempi irrinunciabili di play off, capisce. Poi nel 2013 finalmente riuscii a esserci e, da allora, chi mi smuove più da qui?».
Ci faccia capire: Federico è un cinefilo globale o è solamente l’Oriente a stregarlo?
«La mia è una passione totale, già da quando mio padre mi accompagnava in sala. Non so se qualcuno se lo ricorda, ma in certi anni del Novecento il biglietto non valeva per uno spettacolo soltanto: e io me ne approfittavo rimanendo al buio tutto il pomeriggio. Amo i film che mi accendono il cervello, non ragiono a genere. E appena esco dalla proiezione riempio pagine di appunti. Come l’altro giorno mi sono segnato una curiosità molto giapponese: gli artisti, per rispetto, vengono pagati solamente con banconote nuove. E sapete perché certe persone — visto in un opera coreana — scelgono i vicoli per passeggiare? Nelle strade principali sarebbero costretti a inchinarsi semmai incrociassero persone importanti».
La cinematografia asiatica è rimasta a lungo lontano dall’Europa, mostrandosi soltanto nei festival di Cannes e di Venezia.
«Diciamo che se c’è un regista che in qualche modo ha favorito l’esportazione nel vecchio continente di materiale orientale quello è stato Akira Kurosawa, tant’è che in patria lo accusarono di avere avuto un piglio astuto proprio per strizzare l’occhio all’Occidente».
E il suo incontro con la celluloide asiatica dove avvenne?
«In America. Sorvolavo spesso l’Oceano per lavoro ed essendo un compulsivo oltre alle gesta delle sceneggiature casalinghe scoprii quelle dell’estremo Est, che allora si potevano trovare con una certa facilità».
Il suo essere un così abile cantastorie ha un inizio?
«Ho superato vari step necessari: persino l’avvocato, per un paio d’anni. Ma la giurisprudenza non ha perso un granché, mi creda. Giocai anche a pallacanestro, come play naturalmente, e non c’è bisogno di spiegarne il motivo, quindi atterrai nel basket come commentatore accompagnato da due grandi maestri: Aldo Giordani e Sergio Tavčar, che molti appassionati ricorderanno come la voce più autorevole di Tele Capodistria».
C’è anche il teatro sulla sua strada.
«E infatti, lungi da me di fare della pubblicità, ma rispondo alla domanda: sarò in luglio con lo spettacolo “La milonga del futbol” proprio al Giovanni da Udine. Mi chiedo chi in piena estate di sua spontanea volontà sceglierà di chiudersi in un teatro, ma spero che qualcuno lo farà».
Qual è la cinematografia più forte attualmente?
«Direi senza esitare quella coreana. Loro non fanno mai passi falsi. Anche per quanto riguarda la musica: il K-pop è diffuso in mezza Asia. Dominano qualunque mercato. Parlando anche degli attori e delle attrici, per arrivare in cima devi essere in grado di saper fare il comico e il drammatico con la stessa abilità. Non sono ammesse lacune».
E la Cina?
«Una nazione con un potenziale davvero immenso, ma con una censura inflessibile. In realtà non sappiamo come sarebbe il loro cinematografo se fosse libero di esprimersi senza le immancabili sforbiciate imposte dal potere. E mai lo sapremo».