Giorgia Meloni candida l’indagato Sgarbi alle Europee: “Ho i voti”. Dal quadro rubato ai cachet illegittimi, tutti i (recenti) guai del critico
L’indagato Vittorio Sgarbi candidato alle elezioni europee con Fratelli d’Italia. Uscito dalla porta del governo dopo le sue dimissioni da sottosegretario alla Cultura, il critico d’arte rientra in politica dalla finestra, strappando un posto nelle liste del partito della premier Giorgia Meloni. Non si tratta di una indiscrezione: la notizia è stata confermata dallo stesso Sgarbi, che ha annunciato di aver firmato l’accettazione della candidatura. “Oggi vado a capire quale è la circoscrizione scelta per me” ha detto, spiegando di “averne discusso nel tempo con La Russa, Donzelli e la stessa Meloni” e annunciando una conferenza stampa.
Incompatibilità e dimissioni – Negli ultimi mesi il critico d’arte è stato coinvolto in una serie di scandali di risonanza mondiale, svelati dalle inchieste del Fatto e di Report (qui tutte le tappe), sui suoi cachet d’oro ricevuti durante l’incarico di governo (leggi) e, soprattutto, sul presunto riciclaggio di un quadro del Seicento rubato (leggi). A febbraio scorso Sgarbi si era dimesso da sottosegretario alla Cultura proprio per l’incompatibilità decisa dal Tar. Il motivo? Il critico – come aveva denunciato il Fatto Quotidiano, aveva “esercitato attività professionali in veste di critico d’arte, in materie connesse con la carica di governo, a favore di soggetti pubblici e privati, in violazione legge 20 luglio 2004, n. 215″. Non poteva farlo, insomma, ed è stato costretto a dimettersi. Un passo indietro che peraltro era stato chiesto anche da ampi pezzi del centrodestra, gli stessi che oggi potrebbero accogliere con malcontento neanche troppo velato la candidatura del critico con Fratelli d’Italia, magari intesa come ricompensa politica dopo il passo indietro di febbraio. “I miei detrattori mi accusano ancora? Non ne vedo il motivo” ha spiegato Sgarbi al Corriere della Sera, dove è tornato a parlare della sua incompatibilità (“A breve verrà resa giustizia anche su questo atto, ho presentato ricorso al Tar e a luglio arriverà la sentenza”) e della chanche a Bruxelles, sottolineando che sia Meloni che La Russa “sono stati di parola”.
La genesi della candidatura – “La volontà di candidarmi è stata dei vertici del partito, di Meloni, Donzelli e La Russa, con cui ho parlato e a cui ho dato la mia disponibilità” ha spiegato Sgarbi, che poi ha raccontato le tempistiche di questa decisione, che risale proprio ai primi giorni di febbraio, contestualmente alle dimissioni da sottosegretario. In quei giorni, nel pieno delle polemiche per le sue consulenze e dopo la delibera dell’Antitrust che definiva le attività “incompatibili” con il ruolo di governo, il critico d’arte non escludeva una candidatura alle Europee. “Parlavamo da tempo con Meloni, poi ne abbiamo parlato con Donzelli in aprile e abbiamo ricominciato in questa fase finale delle candidature – ha spiegato – È una cosa nata così, poiché sono libero e ho una dote di voti riconoscibili. Alle Europee del 1999 ne presi 100mila nel Nord Est – ha ricordato – quasi come Berlusconi. Mi avevano proposto la candidatura anche in altre tre liste”. Quali? Il critico d’arte ha assicurato che ne parlerà quando saranno formalizzate la sua candidatura con FdI e la circoscrizione.
I guai (recenti) di Sgarbi – Tutto è partito il 24 ottobre 2023, quando il Fatto Quotidiano ha raccontato dei ricchissimi incassi di Vittorio Sgarbi con le conferenze (leggi), il tutto in barba alla legge che impedisce ai membri dell’esecutivo “attività professionali in materie connesse alla carica di governo”. Da allora sono passati sei mesi, le inchieste giornalistiche sono diventate due, come le indagini delle forze dell’ordine sugli affari del sottosegretario: una sul quadro di Rutilio Manetti rubato nel castello di Buriasco (Sgarbi è indagato per riciclaggio), l’altra sul capolavoro di Valentin de Boulogne che stava per essere venduto all’estero, il che è valso a Sgarbi un’accusa per esportazione illecita di beni culturali. Nel mezzo insulti ai giornalisti del Fatto e di Report che hanno condotto le inchieste, comportamenti giudicati inopportuni anche dai parlamentari di centrodestra e, soprattutto, la resistenza a oltranza del critico. Fino agli inizi di febbraio, quando Vittorio Sgarbi ha deciso di farsi da parte dopo una lettera dell’Antitrust che di fatto certifica che lui quelle conferenze mentre è al governo non poteva e non doveva farle.
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