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Musica, tra cantautorato e pop i Bisanzio raccontano temi importanti di oggi

ROMANO CANAVESE. Da cover band a progetto importante: dal 2022 Bisanzio, band di 5 elementi, è divenuta una storia seria per i suoi due componenti principali, Davide Vuono, 28 anni, di Romano Canavese, e Andrea Pio Ravera Chion, 27enne di Chiaverano. Dopo un ep, tre singoli e un bel numero di concerti tra serate e festival, li abbiamo intervistati per farci raccontare qualcosa di più.

Come vi siete conosciuti e qual è la storia della band? «Ci siamo conosciuti al liceo e da allora non abbiamo mai smesso di suonare insieme, la musica ci tiene uniti. Nella primavera 2022 sono nati i Bisanzio, un crocevia tra cantautorato e pop, ma ricco di svariate influenze, dall’elettro al reggae fino al jazz, ma non ci piace categorizzarci. Il nome Bisanzio è stato scelto proprio perché ha il sapore di un città antica e non più esistente, quasi un sogno o un’utopia, un crocevia tra popoli e culture. Inizialmente dei Bisanzio faceva parte anche un altro ragazzo, come bassista, ma tempo fa ha lasciato il progetto. Abbiamo amici bassisti che ci affiancano nelle esibizioni, ma siamo in cerca di una figura fissa».

Come si è sviluppato e cosa ha prodotto fino a oggi il progetto?

«Abbiamo iniziato suonando allo Zac, luogo che ci ha sempre ospitato e dove le serate sono sempre state accolte con grande entusiasmo. Poi abbiamo partecipato all’Emergenza festival, un evento che si svolge per edizioni in quasi tutte le maggiori regioni d’Italia. Lo scorso settembre abbiamo inciso il nostro primo ep, con 5 canzoni, tramite l’etichetta Aenima recording di Cavagnolo. Prima, però, sono usciti i nostri singoli Camomilla e Baccanale. Poche settimane fa, invece, è uscito il nostro ultimissimo singolo, Amore Stoccolma. Racconta la storia di un rapimento e della vittima che soffre della famosa sindrome di Stoccolma, innamorandosi del suo rapitore. Il significato tra le righe è prevedibilmente la denuncia del cosiddetto amore tossico e della dipendenza affettiva, tema che ci sta particolarmente a cuore. Ci piace dare un senso personale alle canzoni che scriviamo, del resto fare arte è proprio questo: comunicare la realtà così come percepita. Tutte le nostre canzoni si possono trovare su Youtube e Spotify e sui nostri canali».

Come percepite il Canavese per il mondo della musica? Che consiglio dareste a una giovane band locale?

«Non è facilissimo suonare in provincia, soprattutto rispetto alle grandi città. Spesso ci sono pochi spazi nei quali esibirsi. Ci sembra che il territorio una volta fosse un po' più movimentato in questo senso, vi erano più posti e occasioni per suonare, come il festival A night like this di Chiaverano, o il Tweed, nel quale da piccoli noi stessi abbiamo mosso i primi passi. Ultimamente il territorio sembra rivitalizzarsi. Per esempio abbiamo suonato al Parla piano project, cocktail bar in centro a Ivrea che ospita spesso musicisti e stand up comedian. Speriamo che Apolide festival in città aiuti in questo senso. Non vorremmo un’Ivrea ridotta a mera attrazione turistica durante il periodo di Carnevale, ma una città che valorizza tutto l’anno gli eventi culturali. Ai giovani canavesani consigliamo di non piegarsi ai gusti di massa, alle tendenze di Youtube e Spotify. Non arrendetevi e continuate a fare musica che valorizzi il vostro estro personale e originale. Siate voi a risollevare il panorama musicale di cui fate parte. Solo così si può davvero riportare la musica al centro del panorama culturale locale».

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