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«L’onda lunga del lockdown ha travolto i ragazzi»



Parla il professor Gianluca Castelnuovo ordinario di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano

Altri tempi quando Eros Ramazzotti cantava «siamo ragazzi di oggi». La domanda è: tra anoressia, autolesionismo, disturbi del comportamento e alimentari oggi ci sono ancora ragazzi? «Sì per fortuna ce ne sono, ma stiamo assistendo a un vertiginoso aumento del disagio psicologico: siamo nell’ordine di incrementi del 30 per cento». Parla il professor Gianluca Castelnuovo ordinario di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano. Psicologo psicoterapeuta, ricercatore e clinico presso il Servizio e Laboratorio di Psicologia Clinica dell’Irccs Istituto auxologico italiano, ha dedicato la sua attività a occuparsi di adolescenti e giovani.

È ancora l’onda lunga del lockdown a provocare questo disagio psicologico?

Sicuramente c’è questa componente. L’isolamento che si è prodotto con il Covid ha per molti interrotto uno sviluppo lineare e corretto. Vediamo che ci sono difficoltà di relazione con i coetanei, con i genitori, c’è un’esplosione dei disturbi alimentari. Va sottolineato che durante la pandemia si sono rotte delle abitudini e se ne sono acquisite di diverse. Si è stati costretti a condividere con la famiglia uno spazio ristretto e molto tempo e magari erano famiglie che avevano conflitti latenti. Si è stati per molto tempo a contatto col cibo che spesso era l’unica area di distrazione, ma contemporaneamente si passava più tempo davanti al computer e si aveva lo specchio che rifletteva l’immagine di un corpo che non veniva accettato. Però la situazione era già critica prima del Covid, possiamo dire che in questi anni post-pandemia è emerso un disagio latente, che c’era, ma era sommerso. E l’Italia non era pronta ad affrontarlo, come non è pronta oggi. Mancano le risorse, ma forse manca anche la percezione della gravità del fenomeno e dei rischi.

Quali sono i comportamenti più preoccupanti?

Assistiamo a un rapporto conflittuale col cibo che è diventato evidente. L’anoressia e la bulimia sono in aumento e ora riguardano anche i maschi che però hanno sviluppato un’altra patologia: la vigoressia. Passano ore in palestra senza nessun beneficio, si isolano dal mondo perché non sanno accettarsi e modellano il loro fisico. Ma senza alcun beneficio psicologico.

È come se i ragazzi rifiutassero il loro corpo?

È così. I disturbi alimentari non hanno per causa il cibo, la causa è il disagio psicologico, il rapporto distorto col cibo è l’effetto. Ma anche la vigoressia funziona allo stesso modo: i giovani si vedono sempre troppo magri, troppo poco muscolosi. L’emergenza però più grave e di cui si parla sempre troppo poco è l’autolesionismo. Le ragazze soprattutto, ma non solo loro, si tagliano, si feriscono, si rifiutano facendosi una sorta di auto-violenza. Tutto questo nasce dall’incapacità a relazionarsi con gli altri e con il proprio corpo.

C’entra la dipendenza dal computer, dal telefonino?

È una delle cause. Anche qui va fatta una riflessione. Durante il Covid il computer è stata la sola proiezione esterna, ma è diventato anche l’unico strumento di relazione che ha impedito l’apprendimento emotivo, che ha prodotto l’insorgere di una bulimia tecnologica. Noi osserviamo le dipendenze dal cellulare. Se proviamo a togliere il telefonino a un ragazzo che ha affidato a esso tutto il suo modo di relazionarsi ma anche di definirsi assistiamo a comportamenti uguali a quelli delle dipendenze da sostanze. Ci sono gli orfani dello smartphone.

C’è anche il problema di comportamenti indotti dagli influencer? Di modelli imposti?

I modelli possono influenzare i ragazzi, la ricerca ossessiva del consenso attraverso il «like» distorce la percezione della normalità. E può indurre a sviluppare una ricerca ossessiva della perfezione che porta alla vigoressia, all’anoressia che purtroppo vediamo manifestarsi anche in età pre-puberale quando lo si credeva impossibile. Per esempio, Barbie proietta l’immagine di una ragazza anoressica. Ma ci sono anche stati alterati di coscienza in chi mangia ossessivamente. La causa è la mancata accettazione o l’incapacità di costruzione del sé.

Esistono cure possibili?

La psicoterapia è l’approccio clinico giusto, se serve c’è anche il supporto farmacologico. I livelli d’intervento vanno dall’incontro ambulatoriale, al day hospital fino al ricovero, ma non c’è in Italia una distribuzione omogenea delle strutture. E questo nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità ripeta che la prima voce di spesa nell’assistenza sarà la terapia dei problemi psicologici e la salute mentale.

Il lavoro degli psicologi nelle scuole può aiutare?

Sì, ma è una goccia nel mare. Vedono i ragazzi per poco tempo. Ci vorrebbe un monitoraggio costante e la possibilità di affrontare un compiuto percorso terapeutico. In alcune patologie, come l’anoressia,è fondamentale coinvolgere anche la famiglia. Interventi spot aiutano a segnalare un caso, ma non lo risolvono. n

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