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Pastore: “Dispiaciuto per come sono andate le cose alla Roma. Sono stati i Friedkin a mandarmi via, Mourinho non mi ha protetto”

AS ROMA NEWS – Javier Pastore è tornato a parlare della sua carriera con la tappa a Roma. Queste le dichiarazioni dell’ex centrocampista giallorosso a Ultimo Uomo: L’anca come va? “Adesso va bene, sto bene. Mi sono operato, ho messo una protesi all’anca sinistra e mi ha cambiato completamente la vita: non ce la facevo […]

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AS ROMA NEWS – Javier Pastore è tornato a parlare della sua carriera con la tappa a Roma. Queste le dichiarazioni dell’ex centrocampista giallorosso a Ultimo Uomo:

L’anca come va?
“Adesso va bene, sto bene. Mi sono operato, ho messo una protesi all’anca sinistra e mi ha cambiato completamente la vita: non ce la facevo più ad alzarmi con dolore ogni giorno, avere sempre male. Adesso non lo sento più, piano piano mi sto allenando e tra un mese o due comincio a correre, per vedere come procede e provare le sensazioni in campo. Finalmente, ho voglia di tornare a giocare a calcio”.

Prima dicevi: “Felice del mio percorso, anche se non è stato tutto perfetto”.
“Ho avuto momenti positivi e momenti negativi, come normale. Mi dispiace per come sono andate le cose a Roma, sicuramente: speravo di avere un percorso più lungo lì, di riuscire a dare di più. Ho fatto delle partite buone, la gente si ricorda alcune giocate di qualità, ma avrei voluto fare molto di più. Purtroppo tra i problemi che ho avuto, gli otto mesi fermo per recuperare dall’intervento all’anca, è andata così. Peccato”.

Anche per come è finita.
“Sì, quando c’è stato il cambio di proprietà. Nel momento in cui la Roma è stata venduta, io ero infortunato da mesi, dopo l’intervento all’anca: dovevo capire se sarei potuto tornare in campo, quando, in che condizioni. Loro purtroppo sono arrivati proprio in quel momento, e mi hanno detto fin da subito di non volermi. A me rimanevano due anni, ed era il mio ultimo contratto importante, quindi era una situazione difficile anche dal punto di vista economico. Io però capivo la loro prospettiva e conoscevo la mia condizione fisica, e alla fine ho pensato più con il cuore che con la testa: mi sono svincolato durante l’ultima settimana di mercato, per cercare un posto più tranquillo dove testare il mio corpo e capire se potevo tornare a giocare”.

La scelta di scaricarti è firmata più Friedkin che Mourinho, quindi. Come l’hai presa?
“È stata sicuramente una scelta della società, anche perché già prima che arrivasse Mourinho erano stati chiari con me su questo punto. Mi è dispiaciuto molto perché io mi ero operato e avevo fatto sette mesi di riabilitazione per cominciare quell’anno con la squadra, fare la preparazione estiva e le amichevoli con il gruppo, dimostrare che potevo tornare bene dopo l’operazione all’anca. Non mi è stato permesso, però: sono stato un mese e mezzo ad allenarmi da solo, lontano dalla squadra, e quella non era una reale opportunità per me. Mi sarebbe piaciuto almeno avere un confronto, parlare con un allenatore che mi dicesse – in faccia, di persona – «preferisco un altro tipo di giocatore», o «ho dovuto scegliere tra lui e te». Io invece con Mourinho non ho mai parlato, nemmeno una volta”.

Ti aspettavi un trattamento diverso da Mourinho?
“Non saprei, ho tanti amici che hanno giocato per lui ma a me non è mai capitato. So che ognuno ha la propria esperienza con lui, e credo che il suo rapporto con i giocatori ultimamente sia cambiato molto, almeno per quello che ho saputo dei suoi anni al Chelsea e al Manchester United, gli ultimi grandi club dove ha allenato. Non si fa problemi ad andare contro i “veterani”, a dare più responsabilità ai giovani. A Roma c’eravamo io, Fazio, Pedro, Nzonzi, giocatori di grande esperienza che la società non voleva più e che lui non ha voluto “proteggere”, diciamo. Mi è dispiaciuto, lo dico sempre, ma nel mondo del calcio sono cose che succedono”.

A Roma i problemi fisici non ti hanno dato tregua, hai giocato solo 36 partite in tre anni: quanto era frustrante per te, in tutto ciò, leggere anche le tante critiche che hai ricevuto?
“Un po’ era difficile, sì, ma lo capivo. Sul momento la gente e soprattutto il tifoso pensa solo: «Perché non gioca Pastore? Se perdiamo è perché lui non c’è, o se vinciamo, comunque, perché lui non c’è?». Il tifoso vede il momento, vede adesso, ma a questo noi calciatori siamo abbastanza abituati. Alla gente di Roma comunque non rimprovero niente, anzi. L’affetto dei tifosi e la voglia di ripagarli mi davano tanta forza, anche nei momenti più duri, ma era molto faticoso per me. Non ce la facevo davvero più: se mi allenavo al 100%, i giorni dopo sentivo dolore anche soltanto a scendere dal letto e camminare, quindi dovevo gestirmi. Mi allenavo praticamente un giorno sì e uno no, lavoravo a parte rispetto alla squadra, per riuscire a giocare nel fine settimana”.

De Rossi?
“Daniele è arrivato a Roma che la situazione era abbastanza un disastro, la squadra giocava male, ma da una settimana all’altra è cambiato tutto. So che è in un posto dove gli vogliono bene tutti, da chi pulisce il centro sportivo al presidente, e in questi mesi ha fatto sicuramente un ottimo lavoro. Come dicevo, però, non mi ha sorpreso: io ho fatto l’ultimo anno a Roma con Daniele, che ancora giocava ma era un allenatore dentro il campo. Ricordo ad esempio quando era appena arrivato Kluivert, che non stava giocando bene ed era un po’ in difficoltà. Gli veniva detto di fare questo, non fare quell’altro, gli si chiedeva tanto, ma nei modi sbagliati… era molto giovane, aveva 19 anni, e arrivava da un altro Paese e un altro modo di giocare a calcio: il modo in cui gli si parlava era sbagliatissimo secondo me, e di sicuro con lui non stava funzionando. Allora Daniele andava da lui dopo gli allenamenti, gli parlava con un tono diverso, e Kluivert capiva le cose. Si vedeva che sapeva rapportarsi ai compagni come un allenatore”.

Fonte: ultimouomo.com

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