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Studenti protestano per la Palestina in ateneo: «Non è una guerra ma un genocidio»

PAVIA. La protesta degli universitari per la Palestina arriva nell’ateneo che ha negato spazi all’incontro con il presidente regionale della comunità palestinese. L’incontro – tempo permettendo – è in programma per stasera (giovedì 16 maggio, ore 20.30) all’aperto, in piazza Leonardo da Vinci. Protagonista sarà Khader Tamimi, pediatra in pensione di 74 anni originario di Hebron, oltre che presidente della comunità palestinese di Lombardia. L’appuntamento è stato organizzato da Udu, Arci e Rete antifascista Pavia, ed è stato intitolato Palestina, storia di un popolo e della sua resistenza. L’ateneo ha motivato il suo “no” spiegando che l’incontro viola i regolamenti sulla concessione degli spazi, perché l’evento «dà voce a un solo punto di vista e si configura come manifestazione politica».

Più di cento studenti in protesta si sono schierati contro l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, dove 35mila persone – in larga parte civili – sono state uccise a partire dal 7 ottobre. L’hanno fatto con la marcia di ieri (mercoledì) nei cortili della sede centrale, culminata in un’assemblea sotto i portici del cortile Sforzesco: «Questa non è una guerra ma un genocidio che va fermato. Parlarne fa la differenza» dice Jasmine, universitaria di 25 anni e origini palestinesi che sceglie l’anonimato, per via della fragilità dei suoi documenti da studentessa internazionale e il timore di ritorsioni. Si stima che gli iscritti palestinesi a Pavia siano meno di un centinaio, nell’università dove circa il 10% della popolazione arriva dall’estero: «Noi che studiamo in Italia abbiamo il dovere di lottare contro l’occupazione che il nostro popolo sta subendo. Facendo pressione sui governi e le università, siamo gli unici capaci di marcare una differenza».

Nei cortili ci sono studenti italiani e internazionali: alcuni distribuiscono volantini e molti indossano la kefiah, copricapo tradizionale e simbolo della resistenza palestinese. La data scelta per la protesta di ieri non è causale: il 15 maggio ricorre la nakba (letteralmente “catastrofe”) cioè l’esodo forzato dei palestinesi cominciato nel 1948, in concomitanza con la fondazione dello Stato di Israele e dei conflitti che ne sono seguiti.

Da Milano a Palermo

L’hanno chiamato Intifada studentesca, il movimento che da giorni organizza proteste in decine di atenei italiani, da Milano a Palermo passando per Padova, Roma e adesso Pavia, dove gli universitari hanno ribadito le loro posizioni: fermare le collaborazioni delle università italiane con enti e aziende israeliane e lo stop all’Accordo di cooperazione Italia-Israele sono tra queste. Ma la mobilitazione è anche internazionale, perché le agitazioni nei campus statunitensi vanno avanti da settimane.

Più delle richieste, fanno rumore i racconti di chi sente il conflitto in corso come una ferita sulla pelle: «Non è più il momento di tacere, chi ha un minimo di umanità deve prendere parte alla protesta» racconta B., studente italo-palestinese. «L’Italia ha fatto da cassa di risonanza della propaganda israeliana che mira ha nascondere la verità, com’è successo quando Ghali ha preso parola sul palco di Sanremo per chiedere lo stop al genocidio. Ciò che sta succedendo a Gaza suscita in me un mix di emozioni contrastanti, ma il male prima o poi verrà smascherato. Per la prima volta nella storia della Palestina, c’è una parte di opinione pubblica che si sta svegliando». Jasmine aggiunge: «La posizione sul conflitto del mondo occidentale è ipocrita: ci si è schierati a favore dell’Ucraina invasa, mentre nessuno ha preso le nostre parti in quanto esseri umani».

«La causa è anche nostra»

All’assemblea hanno partecipato anche studenti di altre nazionalità: «Nonostante venga dal Marocco, questa è una storia che riguarda anche me» racconta Niama, 23 anni, studentessa di Lingue e culture moderne. «Sento il dovere di far sentire la mia voce contro l’invasione di Gaza, come donna e come persona appartenente a questa generazione».

Domenico, studente di medicina di 24 anni, porta sulle spalle una bandiera palestinese: «Sono qui per prendere posizione su quanto sta succedendo nella Striscia di Gaza, per chiedere lo stop al genocidio in corso e l’apartheid che dura da anni. È urgente che le istituzioni italiane comincino a fare pressione su Israele, interrompendo ogni rapporto commerciale per fermare questa situazione».

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