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L’editoriale. L’Ue ha l’urgenza esistenziale di unirsi? Ci pensa il diversivo “gender” a dividerla

L’Europa è alle prese con un’enorme questione esistenziale ed esiziale – diventare o no un attore politico e un protagonista geopolitico? Pena la sua sopravvivenza; e con una serie di tensioni “affluenti” che alimentano la necessità di rispondere subito a questo interrogativo: le due guerre alle sue porte, la minaccia terroristica islamista, la nuova ondata di antisemitismo, il neo-protezionismo americano, l’aggressione economica della Cina, la corsa alle terre rare. Davanti a questo ingorgo della Storia, e con un’inquietudine montante fra i suoi cittadini (a farne le spese è stato il premier slovacco Fico), l’Ue che fa? Si accapiglia sul tema dei diritti Lgbt. O meglio su una proposta che intende ricalcare, sopra la sacrosanta cornice della lotta alla discriminazione e alla violenza di genere, i dettami della cultura gender all’interno del quadro normativo europeo.

Una proposta, targata presidente di turno belga e immersa in quel brodo che in Italia ha tentato invano di imporsi con il ddl Zan, che ha visto ben un terzo delle Nazioni europee (9 su 27), dissociarsi: tutti i Paesi dell’Est e l’Italia. Apriti cielo. Per la sinistra, come da copione e dopo il “flop” frutto della scarcerazione di Ilaria Salis, è l’occasione per tornare a parlare per l’ennesima volta della fantomatica «orbanizzazione» della politica italiana nei confronti delle minoranze. A nulla vale la verità: ossia che l’Italia, proprio il 7 maggio, ha firmato la dichiarazione Ue contro l’omotransfobia; e che la proposta belga è stata rigettata perché – come ha spiegato il ministero della Famiglia – «sbilanciata sull’identità di genere». E a nulla vale per la sinistra continentale, a questo punto, quanto sostenuto più volte da Papa Francesco proprio sul tema:  «Colonizzazione ideologica», «pericolo», «brutta ideologia del nostro tempo» che annulla le differenze «e rende tutto uguale».

La verità, però, è un’altra: che un documento con queste finalità, con una legislatura comunitaria agli sgoccioli, è nient’altro che un espediente della campagna elettorale per le Europee più “politiche” da quando si vota per il Parlamento di Bruxelles. L’obiettivo, come dimostra la polemica “mainstream” scatenata contro il nove Paesi (di centrodestra, destra-centro e centrosinistra) che hanno detto «no», è alimentare una spirale odiosa e classista: perché sottende una divaricazione fra un’Europa di seria A (quella progressista e libertaria) e un’altra di serie B (tutti coloro che non fanno parte della prima) che è quanto di più anti-comunitario si possa immaginare. Una divaricazione sponsorizzata ufficialmente dai socialisti europei che hanno proposto l’architettura perfetta per cercare di istituzionalizzare questa frattura : l’arco costituzionale contro le destre conservatrici ed identitarie. Dunque con i governi che sono espressione di questa volontà.

La proposta pro-gender, insomma, fa scopa con la volontà di socialisti, verdi e liberali – guarda caso tutte le famiglie date in caduta libera alle elezioni comunitarie di giugno – di voler sabotare a tutti i costi l’avanzata della destra a Bruxelles. Un tentativo che cerca di strumentalizzare la causa Lgbt, come quelle sullo stato di diritto e sulla libertà di espressione, con l’unico scopo di indebolire la costruzione politica di un’Europa sempre più autonoma: quella che, come dimostra la rilevazione di Youtrend, sta emergendo democraticamente come frutto delle volontà nazionali. Il risultato di dividere la società europea? Rafforzare il vincolo esterno, blindare il potere delle burocrazie e delle tecnostrutture, indebolendo la sovranità politica. Il vizio della sinistra, dentro e fuori i confini, è sempre lo stesso. L’antidoto, dentro e fuori i confini, è mandarla all’opposizione.

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