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Il cervello oggi si ammala più del cuore

Le disfunzioni neurologiche sono ormai la prima causa di patologia a livello mondiale, superando i problemi cardiaci (che mantengono però la mortalità più alta). Ma cosa sta succedendo a questi due organi così importanti per il nostro benessere?

La razionalità contro il sentimento, la ragione contro l’emotività. Nell’immaginario collettivo cuore e cervello giocano nelle nostre vite un ruolo opposto, ma simbiotico. Nella vita reale, nel mondo della pratica clinica, sono i due sistemi che si ammalano più spesso. Una fondamentale analisi realizzata dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME), della Washington University, testimonia come le patologie neurologiche, quali ictus, Parkinson, Alzheimer, sclerosi multipla ed emicrania, siano talmente in crescita da essere oggi la principale causa di malattia e disabilità al mondo, superando quelle cardiache. Non solo: i dati sono stati utilizzati per stimare quanti anni di vita in buona salute (i cosiddetti «Daly», Disability-adjusted life years) sono andati persi, giungendo a 406 milioni di anni gravati dal fardello di disabilità e sofferenza.

Un «sorpasso», quello del cervello sul cuore, mai avvenuto in precedenza: soffre di problemi neurologici il 43 per cento della popolazione mondiale, qualcosa come 3,4 miliardi di persone. E secondo i calcoli della World Stroke Organization, entro il 2050 il numero di coloro che potrebbero morire di ictus aumenterà in modo significativo, anche sotto i 55 anni di età. Cosa sta succedendo al nostro cervello? «I dati di questo studio sono rilevanti: nella pratica clinica l’aumento di patologie neurologiche è già un dato di fatto, del quale ci accorgiamo tutti noi che lavoriamo negli ospedali» spiega Paolo Calabresi, ordinario di Neurologia all’Università Cattolica, Campus di Roma, e direttore dell’UOC di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. «Tuttavia, questa analisi molto accurata, che ha coinvolto 204 Paesi e fotografa la situazione al 2021 rispetto alle precedenti, include nel gruppo di “patologie neurologiche” anche condizioni cliniche prima non considerate tali, come le neuropatie diabetiche, i disturbi del neurosviluppo e alcune malattie congenite neonatali. Ciò non toglie che i numeri siano davvero in forte aumento. Basti pensare che, solo per citare un esempio, il numero di pazienti con Parkinson è significativamente cresciuto negli ultimi 10 anni». I motivi del sorpasso sono tanti, e diversi tra loro. In primo luogo, l’invecchiamento della popolazione nel mondo occidentale è un fattore di rischio per le patologie neurodegenerative, molte delle quali sono età-dipendenti. Inoltre la sedentarietà, lo stress, l’obesità e il fumo possono essere elementi determinanti sia per le patologie cerebrovascolari che neurodegenerative.

«Nel nostro Paese, negli anni scorsi l’incidenza dell’ictus sembrava essersi stabilizzata o addirittura ridotta» continua Calabresi «grazie alla prevenzione primaria e secondaria, alla dieta, al fatto che si prescrivono più farmaci per ridurre i livelli di colesterolo e più medicinali contro l’ipertensione. Di recente, purtroppo, i pazienti con malattie cerebrovascolari sembrano di nuovo in crescita: vediamo molti casi di «stroke», (ictus cerebrali, ndr) in persone relativamente giovani. Questo è dovuto sia alle cause sopra indicate, così come ad altri fattori, per esempio l’impoverimento economico per cui non si riesce più a curarsi in modo adeguato. Inoltre tutto il mondo occidentale è divenuto multietnico e nelle varie popolazioni i fattori di rischio e la vulnerabilità alle malattie cerebrovascolari possono essere molto diversi». Ovviamente non è tutto così lineare: obesità, fumo e sedentarietà incidono anche sulla pompa cardiaca, e se le patologie neurologiche hanno più impatto sulla salute, è anche vero che le malattie del cuore mantengono la mortalità più alta: le cardiopatie ischemiche (infarto miocardico, scompenso cardiaco, angina pectoris) sono ancora oggi la principale causa di decessi anche in Italia, con oltre 200 mila vittime l’anno.

La pandemia ha avuto un ruolo importante: in base ai dati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e pubblicata su European Journal of Preventive Cardiology, che ha messo a confronto il numero degli attacchi cardiaci con quelli dei decessi negli anni tra il 1990 e il 2017, la mortalità per malattie cardiovascolari (grazie alla prevenzione e alle migliorate tecniche di intervento diagnostico) era scesa a livello globale del 53,3 per cento. La pandemia ha poi causato un’inversione delle tendenze, e le malattie cardiache rimangono infatti la principale causa di morte nel mondo. Ma in cardiologia si gioca anche una partita diversa: «Nel settore cardiovascolare» dice a Panorama Giulio Pompilio, direttore scientifico del Centro cardiologico Monzino IRCCS e professore ordinario di Cardiochirurgia presso l’Università di Milano «per la natura stessa delle problematiche cardiache, rispetto a quelle neurologiche, riusciamo a far maggiormente cronicizzare le patologie, grazie ai farmaci immessi sul mercato negli ultimi anni, e ai dispositivi di nuova generazione. Questa capacità terapeutica ci aiuta molto, basti pensare all’impatto positivo derivante dall’utilizzo delle valvole cardiache percutanee. La cardiologia sta vivendo un’età dell’oro, oggi possiamo allungare l’aspettativa di vita e migliorare la longevità spesso senza disabilità. Ma, trattandosi di patologie sempre più diffuse, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, la percentuale di mortalità rimane più alta di quella delle malattie neurologiche».

Tornando alla «classifica» della diffusione, sull’ictus e sulle patologie del cervello nel mondo occidentale pesano anche altri problemi: le droghe innanzitutto - responsabili del 12 per cento degli ictus nei giovani - soprattutto la cocaina, che aumenta i fattori di rischio di stroke emorragico e ischemico (può causare vasocostrizione e vasodilatazione), e l’abuso di alcool. I guai arrivano pure da bassi livelli di vitamina B-12, e qui entra in gioco una delle grandi tendenze del millennio: la dieta vegetariana e vegana. Uno studio dell’Università di Oxford, che ha seguito 48 mila persone per 18 anni, ha dimostrato che il rischio di ictus tra chi rifiuta carne, pesce e derivati è superiore del 20 per cento rispetto alla popolazione generale.

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