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Medici veneti in fuga all’estero: nei primi mesi del 2024 se ne sono andati in 300

Il grande esodo dei medici veneti all’estero è scritto nei numeri. Seicento professionisti sono partiti nel 2023 per andare a lavorare in ospedali e cliniche di altri Paesi, secondo uno studio della Fnomceo.

«Le partenze non accennano a fermarsi guardando le stime più recenti. Nei primi mesi del 2024 abbiamo già avuto oltre 300 colleghi veneti che sono andati a lavorare fuori dall’Italia, a conferma che il fenomeno non tende a diminuire, anzi» commenta Francesco Noce, alla guida della Federazione regionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) del Veneto, nonché presidente dell’ente ordinistico di Rovigo, scorrendo le ultime stime.

L’Italia conta ogni anno l’addio di 20 mila dottori, secondo il conteggio dei “certificati di buona condotta” che il ministero della Salute rilascia ai professionisti che chiedono di trasferirsi fuori dalla madrepatria dopo la laurea o la specializzazione.

La maggior parte dei richiedenti, pari al 90%, ha tra i 35 e i 40 anni; il restante 10% riguarda pensionati. Non si tratta dunque di soli medici ospedalieri strutturati, ma anche di specializzandi e di professionisti provenienti dalla sanità privata.

I motivi dell’esodo

Perché partono e cosa cercano? «I medici vanno all’estero, per trovare migliori condizioni di lavoro, in primis, sotto il profilo economico, visto che gli stipendi sono fino a quattro volte superiori a quelli italiani» rileva il presidente della Fnomceo del Veneto, riportando l’esperienza di un collega emigrato da qualche anno a Dubai, dove oltre alla busta paga molto più sostanziosa, gli sono stati riconosciuti un’abitazione di servizio e la scuola gratuita e di altissimo livello per i figli.

Continua Noce: «I colleghi che vanno a lavorare in strutture sanitarie all’estero, beneficiano anche di una maggiore considerazione a livello sociale, oltre ai benefit e alle agevolazioni; e un clima di elevato rispetto per la loro autonomia, a tutti i livelli. Non da ultimo, i giovani professionisti di oggi sono “cittadini del mondo”, conoscono bene le lingue, hanno una maggiore propensione alla mobilità. Questo combinato disposto di fattori genera una perdita enorme per il nostro Paese, in termini di competenze e investimento nella formazione. Paradossalmente, per ogni medico che l’Italia si lascia scappare è come se si regalasse una Ferrari al Paese che lo accoglie».

Contratti scaduti e burocrazia

Condizioni di lavoro più appetibili e maggiore propensione allo spostamento delle giovani generazioni si intrecciano con altre questioni: contratti e convenzioni scaduti a livello nazionale, una burocrazia soffocante e un’esposizione ai rischi professionali che varia da Paese a Paese, con l’Italia agli ultimissimi posti per tutele garantite ai camici bianchi. «A livello europeo, l’Italia, insieme alla Polonia, è l’unico Paese dove l’atto medico viene perseguito anche penalmente e non solo civilmente. In Italia ogni anno ci sono 36 mila denunce penali nei confronti di medici, speriamo che il ministro della giustizia, insieme alla commissione sulla colpa professionale, ponga presto rimedio al ricorso alla medicina difensiva, che ormai è fuori controllo» aggiunge Noce.

Questo spiega il senso di frustrazione di un’intera categoria, che ormai non protesta più e preferisce fare le valigie. Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera, Belgio, Canada, Svezia, Irlanda e Paesi del Golfo le mete preferite dai medici under 40.

Come farli restare

«La fuga rappresenta un segnale d’allarme che non può più essere ignorato» conclude il presidente Noce, «I medici chiedono a gran voce di essere messi nelle condizioni di poter restare in Italia. Il che significa maggiore riconoscimento del loro valore sociale e dell’autonomia professionale, sia dal punto di vista diagnostico, sia terapeutico. Ben vengano i controlli sul nostro operato, ma ci sono troppi paletti sulla prescrizione di esami diagnostici e farmaci. Tutti elementi che non tengono conto di come ogni decisione presa dal medico lo sia sulla base della storia e del vissuto individuale di quel paziente. Essere costantemente sotto esame o vittima di decisioni calate dall’alto o prese sulla propria testa non è certo la giusta risposta al pesante esodo di medici in atto».

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