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Rumiz e i nuovi barbari

TRIESTE. È stata una lunga esplorazione quella della sua quadrilogia sull’Europa. In maniera simile ai tanti viaggi che ha compiuto nella sua formidabile carriera di inviato. Arriva adesso in libreria l’«ultimo atto» del quartetto di libri del noto scrittore e giornalista Paolo Rumiz, Verranno di notte (Feltrinelli, pp. 208, euro 15,20); e in questo pamphlet, come sempre letterariamente intenso e stilisticamente pregevole, la notte non porta consiglio, a differenza di quanto suggerisce il noto adagio. Il suo oggetto consiste, infatti, nel ritorno dello «spettro della barbarie in Europa» (come recita il sottotitolo). O, per meglio dire, la sua trasformazione nello scenario odierno.

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Sciagurato spirito del tempo

E, dunque, se di fascismo si tratta – e quanto si osserva in giro ne ha un sentore evocativo –, è la versione che Umberto Eco avrebbe etichettato come «postmoderna»; nella sua genesi e “viralità”, come negli strumenti di proselitismo, giocano infatti un ruolo decisivo le tecnologie digitali, mentre il carattere più evidente consiste nella sua capacità di cogliere un certo (sciagurato) spirito del tempo.

Instancabile attraversatore e conoscitore di confini Rumiz si ritrova idealmente – come già tante volte – appostato alla frontiera orientale, che non è diventata, come si sperava, la fiera dell’est nell’accezione del motto dell’economista e filosofo liberale Frédéric Bastiat («dove passano le merci non passano gli eserciti»). L’aggressione putiniana contro l’Ucraina e le sue avvisaglie in corso almeno dal 2014 si sono malauguratamente incaricate di smentire questa previsione, mentre a imporsi, spargendo ulteriormente povertà intorno ai ceti più deboli, è stato un modello di mercato selvaggio e senza regole (dal quale hanno tratto le loro immense fortune gli oligarchi dei regimi autocratici di alcuni Paesi di Visegrad, oltre a quelli russi).

Ritratto dalla frontiera

Dalla sua frontiera, Rumiz ritrae questo periodo di guerra e smarrimento dei valori dell’Europa, segnalando in maniera icastica che «Orwell è entrato a Bruxelles»; e la considerazione vale anche per una certa deriva burocraticistica e di lontananza dalla cittadinanza dei palazzi comunitari, che finisce, volenti o nolenti, per regalare cartucce retoriche ai neopopulisti e agli antieuropeisti. E lo scrittore lo mette nero su bianco, in maniera inequivoca, scrivendo che «i burocrati di Bruxelles avrebbero dovuto passare un anno sabbatico nelle periferie più derelitte dell’Unione, muovendosi con i mezzi pubblici».

Europa guidata dai sonnambuli

Il suo sguardo sull’oggi è sconsolato e chirurgico nel raccontare in maniera scrupolosa «un’Europa che pare la Germania prima della Grande guerra: indebitamento, spese militari, disinformazione, opacità senza responsabilità», guidata per l’appunto da tanti «sonnambuli». D’altronde, Rumiz – narratore e affabulatore (come deve essere uno scrittore) e grande consumatore di suole delle scarpe (come si confà a un inviato curioso) – si era recato nei luoghi in cui correva il fronte della Prima guerra mondiale per filmarli e realizzare un documentario.

Memoria museificata

E per capire; notando con perplessità come la memoria in materia fosse stata drasticamente museificata e “vetrinizzata” – ovvero quello che accade quando la si considera oramai definitivamente consegnata al passato e impossibile da riproporsi. Ma così non è stato, purtroppo, sulle altre sponde del Mediterraneo e perfino sul suolo del continente. E nel pendolo costante fra passato, presente e futuro che anima questo libro, l’autore ci ricorda – dopo avere sfruculiato dentro i suoi faldoni – il manifesto precorritore (ovviamente inascoltato) per la fondazione di un’unione europea di Stati e imperi redatto nel maggio del 1914 (un mese prima dell’attentato di Sarajevo) da Edmund Richetti von Terralba, ex ad di Assicurazioni Generali ed esponente di rilievo della comunità ebraica di Trieste.

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Il nazionalismo

È appunto il Rumiz triestino che scrive, erede del cosmopolitismo e del multiculturalismo di quella città così speciale, col «dente avvelenato» nei confronti del nazionalismo. Ed è il Rumiz che avverte un «movimento tellurico. Quello dell’elettorato europeo che devia sul binario di destra».

Sovranismo 2.0

Lo si vede dalla crescita dei consensi del sovranismo 2.0, che sbandiera il ritorno a (spesso reinventate o supposte) identità immutabili, blandendo una popolazione sempre più spaventata e disorientata. E che compie operazioni sempre più spregiudicate di indebita appropriazione culturale, come ha fatto l’Afd nei riguardi del grande Erasmo da Rotterdam (ma anche qui da noi la casistica va facendosi via via più nutrita). È «il fascismo nuovo, il fascismo della rete», denuncia Rumiz. Ma la speranza non tramonta, come ci dice alla fine di questo suo girovagare politico-culturale (e sentimentale), e passa anche per la “nuova” Polonia.

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