Serbia-Kosovo, diventa un caso la nuova intesa suggerita dagli Usa
BELGRADO. Il nodo Kosovo rimane la questione più delicata e di difficile soluzione, nell’intera regione balcanica, in grado – se non risolta – di scatenare futuri nuovi conflitti. Ma come sciogliere, quel nodo? Forse abbandonando la strategia del muro contro muro verso Belgrado, che non ha alcuna intenzione di riconoscere l’indipendenza della sua ex provincia meridionale, anche se messa all’angolo, puntando invece su una intesa di “normalizzazione” dei rapporti tra Serbia e Kosovo. Senza però spingersi fino al mutuo riconoscimento.
È questo l’audace approccio alla questione reso pubblico, tra aspre contrapposizioni e polemiche, non dalla leadership politica serba, né tantomeno da storici amici di Belgrado, come Mosca o Pechino, bensì da Christopher Hill, ambasciatore a Belgrado di quegli Usa che sono ritenuti i più vicini alleati del Kosovo. Hill, forse la feluca più influente nei Balcani che, in un’intervista alla storica rivista Nin, ha risposto a una domanda sulle condizioni che la Serbia dovrà osservare per entrare nella Ue, malgrado tutto suo obiettivo strategico. Dovrà riconoscere il Kosovo, per innalzare la bandiera blu a dodici stelle, anche se il gran passo non è esplicitamente richiesto dagli storici accordi di Ocrida, rimasti finora inapplicati? «Non penso», ha lanciato la bomba Hill, specificando di ritenere che Bruxelles non intenda veramente imporre il riconoscimento alla Serbia prima dell’adesione, bensì spinga “solo” su una totale normalizzazione dei rapporti. Europei che «vogliono pace e sicurezza nella regione e certamente tra Kosovo e Serbia», ha spiegato. E la pace, forse, si può raggiungere anche con soluzioni diplomatiche più “eleganti” del riconoscimento, anche tenendo conto che «ci sono membri Ue che non riconoscono il Kosovo» e che non sembrano avere alcuna intenzione di cambiare rotta, ha aggiunto Hill, tra i diplomatici Usa di maggior esperienza nell’area.
Hill non è entrato nei dettagli, ma ha suggerito che normalizzazione andrebbe letta come «confini che non dividono ma uniscono», aggiungendo di sperare «che la gente capisca quello che stiamo dicendo sul futuro e su come vivranno le persone» tra Serbia e Kosovo. Insomma, si pensi quantomeno un riconoscimento “de facto”, forse un giorno digeribile, per Belgrado, magari in cambio dell’adesione alla Ue.
Ma l’uscita di Hill, inaspettata ed esplosiva, non ha sortito per ora gli effetti sperati, creando un vero e proprio terremoto in Occidente, irritando Pristina e dividendo persino la stessa Washington. «Leggete le dichiarazioni del Cancelliere Scholz», che nel 2022 aveva ribadito che per la Germania «la normalizzazione vuol dire riconoscimento mutuo, ciò vale ancora», ha aperto le danze l’ambasciatore tedesco a Pristina, Joern Rohde, estramamente duro verso il collega.
«La conclusione del dialogo deve essere il riconoscimento», ha fatto eco anche l’ambasciatore Usa a Pristina, Jeffrey Hovenier, smentendo il suo collega a Belgrado, una posizione poi ribadita ai media kosovari anche dallo stesso Dipartimento di Stato. Il dialogo a Bruxelles, in stallo da mesi, ha come «obiettivo la piena normalizzazione delle relazioni» e «senza riconoscimento non ci può essere normalizzazione», ha reagito anche l’ambasciatore kosovaro in Belgio e alla Ue, Agron Bajrami, mentre Belgrado è rimasta silente, sicuramente soddisfatta. Di uno sviluppo che, tenuto conto del peso di Hill, non può essere letto come un errore o una leggerezza, bensì come un sasso lanciato nello stagno. Magari per lanciare l’idea del “modello Cipro”, adottato dalla Ue malgrado le divisioni sul terreno, dolorose e insanabili forse quanto quelle del Kosovo. —