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«L’autonomia unisce», video difesa di Meloni. Ed è scontro con il Pd

«L’autonomia unisce», video difesa di Meloni. Ed è scontro con il Pd

foto da Quotidiani locali

È un evidente segnale di nervosismo il video con cui Giorgia Meloni, dopo averla snobbata nella comunicazione di tutta la campagna delle europee e delle comunali, ha voluto difendere le virtù della riforma Calderoli sull’autonomia differenziata. Guarda caso proprio all’indomani di una sconfitta ai ballottaggi, che molti osservatori attribuiscono in parte a una legge che preoccupa una vasta fascia di elettori, dal popolo del Sud a imprenditori del Nord, dai sindacati alle categorie sociali. Anche il linguaggio del corpo - volto tirato e sorrisi glaciali - svela la rabbia di chi deve prendere il toro per le corna perché fiuta un pericolo.

«L’autonomia differenziata unisce l’Italia e combatte e disparità», prova a convincere i perplessi Giorgia Meloni. Ma sono in molti a intravedere in questa ansia di “fare chiarezza”, dal titolo del video sull’autonomia, un timore che i voti futuri possano subire un calo dovuto a queste riforme controverse, non ultima il premierato, frutto di un patto di ferro tra i tre partiti di maggioranza.

Gli occupati del Sud sono aumentati, fa notare lei. Accusando l’opposizione di «usare toni irresponsabili da guerra civile», ricordando che «una deputata 5s ha evocato piazzale Loreto, in pratica io dovrei finire a testa in giù».

Nel complesso, questa uscita studiata al millimetro, all’indomani della sconfitta delle comunali, suona come un’ammissione di debolezza. Difendendo a spada tratta l’autonomia (pretesa da Matteo Salvini per non far saltare il banco), la premier trasmette anche l’impressione di non essere convinta di aver fatto bene a sdoganarla in tutta fretta. Visto che ha comportato subito un’erosione di consenso per la maggioranza.

Non c’è solo infatti la sconfitta alle comunali, in ballo, ma fa riflettere anche la perdita di 600 mila voti assoluti rispetto alle politiche del ’22 subita dal partito della premier, FdI, che pure è aumentato in percentuale fino a sfiorare il 29% dei suffragi; contro la crescita di 250 mila voti (e non solo quindi di percentuali) da parte del Pd di Elly Schlein. Che infatti ribatte a Meloni con sufficienza: «Non capisco a chi si riferisca. Se questi sono toni da guerra civile... Noi stiamo facendo una battaglia di merito sulle loro riforme e accompagniamo ogni critica con una soluzione alternativa. Capisco sia difficile accettare la sconfitta sonora del 6-0...». Dunque, il duello si riapre.

«In meno di 20 mesi, abbiamo avviato importanti riforme, del fisco, della giustizia e del premierato», attacca la premier, senza citare subito la rivoluzione cara alla Lega. «Contro tutte queste riforme la sinistra è scatenatissima, ci accusa di qualsiasi nefandezza. Sul premierato ci accusano di deriva autoritaria, poi si scopre che la proponeva il Pds di Occhetto trent’anni fa».

Ma il cuore del videomessaggio di 15 minuti è l’attacco «all’opposizione ridicola e ipocrita alla legge sull’autonomia differenziata, principio inserito in Costituzione dalla sinistra».

La maggioranza ha solo introdotto un principio di regole, argomenta Meloni, perché diverse regioni hanno chiesto di dare seguito a quel principio, non solo la Lombardia e il Veneto che hanno celebrato un referendum, ma anche la regione Emilia Romagna, nel 2018. E altre regioni hanno chiesto più autonomia, la Liguria, la Toscana, il Lazio, le Marche, il Piemonte, la Campania del governatore De Luca. Il quale però rivendica la sua battaglia contro la riforma targata Lega, autoincensandosi per il successo della sinistra alle comunali.

«Meloni ha perso al Sud grazie alla campagna che ho fatto contro l’autonomia», dice orgoglioso. E non è un mistero che i colleghi presidenti di Regione in Calabria e Sicilia, Roberto Occhiuto e Renato Schifani, non abbiano gradito l’accelerazione sull’autonomia, preoccupati di veder diminuire il favore popolare verso una coalizione che nel sentire popolare potrebbe minare la sicurezza dei servizi di base, sanità e scuola, nelle regioni più povere: nella narrazione della sinistra e dei grillini (ancora forti nel Mezzogiorno) è proprio lo sbocco cui porterà l’autonomia rafforzata delle regioni, con quelle del nord a fare da traino di una locomotiva a più velocità.

«Ci vuole coraggio a sventolare i tricolori, a gridare allo scandalo», si indigna la premier, accreditando però così la tesi che evidentemente la campagna delle opposizioni ha avuto un qualche effetto, se non altro di spaventare una parte del popolo più sensibile ai temi del welfare garantito dallo Stato a livello centrale. Meloni sostiene che stabilendo regione per regione i livelli minimi di prestazione da garantire, si evita che ci siano cittadini di serie A e serie B. «Solo dopo che sarà fissata questa soglia – promette - si potrà andare avanti concedendo autonomia alle Regioni».

Insomma, il messaggio è state tranquilli che «nessun cittadino avrà condizioni peggiori». E avanti a rassicurare, poiché «non si parla di togliere a una regione per dare a un’altra: non è vero che va contro una parte dell’Italia».

Resta sul tavolo un interrogativo: non è che a causa della discussa autonomia regionale si è allargata la faglia tra “la patriota” Giorgia Meloni e Matteo Salvini?

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