L'arte italiana cresce così
La Fondazione vaf-Stiftung premia la lunga carriera dell’architetto e designer Marcello Morandini, e insieme i giovani artisti più interessanti del nostro Paese. I loro lavori sono esposti in Germania e presto anche da noi.
Arriva nella Stadtgalerie di Kiel, in Germania, il premio per uno storico artista italiano, per la sua lunga attività di architetto rigoroso e di designer, che ha trovato concordi i giurati di un premio relativo ai giovani, il Vaf della Fondazione Stiftung: mi riferisco a Marcello Morandini, lucido fra molti ragazzi, uno dei quali solo 24enne, che sono esposti in gara negli ampi spazi della galleria.
Ma contemporaneamente, e davanti a loro, occorre onorare anche un amico. Un amico dell’Italia, un tedesco più italiano di un italiano, Volker Feierabend, che vive a Milano, nato a Berlino, e che esalta la grandezza dell’arte italiana, anche in dialogo con la grande arte tedesca, nel luogo dove ha sede il museo che io presiedo e che è la casa delle opere da lui raccolte: il Mart di Rovereto. Questo è in equilibrio fra un piccolo e bellissimo museo, il Mag di Riva sul Lago di Garda e Trento, dove il Castello del Buonconsiglio è l’istituzione che fra qualche giorno ospiterà una mostra di Dürer.
Io ho voluto che, contemporaneamente alla mostra di Dürer, vi fosse al Mag una mostra parallela dei pittori del Rinascimento italiano che hanno lavorato in Trentino, sulla scia di Mantegna, in dialogo con il grande artista tedesco che ha trovato uno dei suoi luoghi di visione ad Arco, scendendo lungo il Trentino, per arrivare a Venezia.
Quindi l’incontro tra il Rinascimento italiano e quello tedesco sarà fra qualche giorno una buona ragione per cui gli amici tedeschi arrivino in Italia e arrivino in Trentino. E questa è una storia che ha un interprete moderno in Volker Feierabend che ha sentito fortemente la pittura italiana del Novecento fino a essere, ormai con un’età di piena comprensione ed esperienza, sensibile anche ai più giovani, a cui ritiene di dover dare, con la sua fondazione e il suo premio, l’attenzione di chi non è soltanto legato ai grandi artisti che hanno unito Italia e Germania, come Giorgio De Chirico o come Giorgio Morandi, ma a tutti i dimenticati e che oggi celebriamo, in uno, nella figura di Pietro Gaudenzi, un meraviglioso quanto sconosciuto pittore di cui il Mart ospita in questo momento una mostra.
L’onore che io devo tributare all’amico Volker è proprio per la sua volontà di guardare fino in fondo l’esperienza che ha dato luce alla sua vita, dei pittori che hanno lavorato a fianco di De Chirico, di Savinio e di Morandi, oggi ritrovati come Ubaldo Oppi o lo stesso Gaudenzi; e, da loro, nella collezione che egli ha raccolto con passione e rigore, fino ai giovani che egli propone a Kiel, e che io cercherò di descrivere, e che verranno premiati a Rovereto, e non so con quale forza la commissione potrà sceglierne uno invece che due, invece che tre, rispetto all’evidenza dell’impegno che tutti li connota, per la passione, la speranza, e con lo stesso spirito di chi li ha voluti.
Penso per esempio, con qualche stupore, a un artista che si muove in una ricerca linguistica senza riferimenti immediati diretti, Roberto Fanari, che, fra quanti lo hanno ispirato, ricorda non solo il consueto e prevedibile Arturo Martini, ma un raro artista sardo che si chiama Nivola. Mi ha molto colpito questo suo riferimento nel dialogo con Volker, il quale parla al giovane - nato nel 1984 in Sardegna - e gli chiede quali sono i maestri che ama maggiormente e a cui si sente più vicino. E Fanari risponde: «Guardo soprattutto ai grandi scultori ma anche a tanta pittura. Volendo fare dei nomi: Arturo Martini, Costantino Nivola, Marino Marini, Carlo Carrà, Felice Casorati, Adolfo Wildt, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Sandro Botticelli, Duccio di Boninsegna e Giotto».
Come dire che tutta l’arte italiana porta alla elaborazione, con segmenti metallici, di forme, che non sono più generate dal disegno, ma lo generano. E questo processo mi ha ricordato uno straordinario artista italiano, un architetto a cui dobbiamo il recupero di alcuni monumenti tra i più importanti dell’archeologia antica e medievale italiana, che si chiama Edoardo Tressoldi, che sono convinto Fanari conosca e che segnalo anche all’amico Volker, che potrebbe essere destinatario di un premio per l’avvenire avendo ricostruito l’archeologia con la trasparenza di fili, esattamente come quelli che utilizza Fanari, per identificare spazi che rimangono virtuali pur essendo fisici. Il collegamento che mi è venuto naturale tra Fanari e Tressoldi indica come in molti giovani ci sia un’attenzione a una storia che è il senso stesso della nostra grande civiltà antica e moderna.
Analogamente, come una compenetrazione tra le collezioni del museo di Kiel e le opere di un’artista di grande sensibilità, Chiara Calore, nel percorso della mostra vi accorgete che il linguaggio è mutato, ma non è un nuovo artista in concorso. È un artista di altra generazione, che si chiama Henrik Ehmsen, che ha i suoi quadri che dialogano con quelli di Calore. Sono lontane settanta, ottant’anni, le opere di questo artista tedesco da quelle dell’italiana, ma sembra naturale che i due abbiano uno stesso sentimento della grande tradizione italiana, anche il tedesco, e questo mi ha colpito, e inevitabilmente la Calore che ha già una sua carriera, fresca ma molto riconosciuta.
Notevole e classica, anche nelle tecniche tradizionali è la ricerca di un giovanissimo artista come Jacopo Gianneschi, che mi ha fatto pensare a una forse involontaria affinità con Riccardo Francalancia, e con Adelchi Riccardo Mantovani, ben conosciuto e sostenuto da Feierabend nell’esperienza simmetrica e rovesciata: Adelchi da Ferrara è andato a vivere a Berlino e l’amico Volker da Berlino è andato a vivere a Milano. E, con i riferimenti a questo artista realista e fantasioso che porta la sua grande città, che è anche la mia, Ferrara, in Germania, si riconoscono i collegamenti con Francalancia, e, in senso più ampio, con un artista americano, in rapporto inevitabile con l’arte italiana: Grant Wood.
Analogo candore, ma in una ricerca esclusivamente fotografica, tra Guido Guidi e Giovanni Chiaramonte, mostra Alessandro Nanni, in tagli originali e quasi astratti. In senso diametralmente opposto, invece, con la fotografia rigenera la pittura, rinascimentale, fiamminga e simbolista, trasferite in una nuova vita, Debora Garritani, artista colta e scaltra.
Le riflessioni che faccio davanti a questi giovani artisti sono tali da stabilire una tradizione innata di cui comunque l’Italia è il cuore, perché l’arte italiana è al centro del mondo sia rispetto all’arte francese sia rispetto all’arte spagnola sia rispetto all’arte americana. E in questo è interessante osservare la ricerca di Valentina Diena, che non potendo evitare il confronto con la Pop art, come tutti gli artisti italiani che sembrarono improvvisamente travolti da questa arte popolare, consumistica ma insieme anche di denuncia del capitalismo, trova una sua strada originale. Valentina propone un rapporto con la Pop art attraverso il disegno, una Pop art disegnata.
È certamente un altro percorso che lega il passato al presente: nella tradizione italiana il disegno è la chiave con cui si intende, attraverso la ragione e il pensiero, il mondo. Il disegno, nella civiltà toscana, da Giotto fino a Botticelli, è misura e ordine. Ridurre all’ordine della ragione la Pop art è certamente l’intuizione di Valentina Diena.
Si muove nell’ambito della scultura, in un rapporto molto stretto con un maestro del Novecento, che non so Volker abbia mai incontrato, Beatrice Taponecco. Io l’ho conosciuto bene, l’ho visto nei suoi altissimi anni, è morto a cento anni, ha lavorato a Carrara, e ha creato una scultura in marmo astratta pur essendo legata alle forme della natura: è Gigi Guadagnucci. La Taponecco, che è nata a Sarzana, poco lontano da Carrara, dove ci sono le grandi cave del marmo, sembra volere continuare con la sua impresa l’esperienza di Guadagnucci, rendendola così attuale e viva da fare diventare lui un giovane contemporaneo e lei una conservatrice di quella giovinezza, anche attraverso la testimonianza di tanti artisti del mondo a Carrara, come Paolo Atchugarry, continuatore di Guadagnucci. In ambito astratto, con un rigore impeccabile nell’esercizio del disegno, si distingue la virtuosa Monica Mazzone. Vediamo quante catene e quanti collegamenti tengano insieme i giovani artisti esposti a Kiel. Un altro che lavora tra immagini fotografiche e maschere alla Hannibal, come corpi estranei è Michele Tajarol, che forse non conosce la produzione a lui così affine di Herbert Pagani, cui involontariamente ritorna. Puro e libero pittore, che si muove con il ritmo della musica, è Adriano Annino, mentre Teresa Giannico ottiene effetti pittorici con la scomposizione di immagini digitali.
Ancora più radicalmente Antonio Barbieri crea forme naturali, come licheni, attraverso la stampa 3D, con effetti simili alla ceramica: una seconda natura. Un suo mondo fantastico e solitario insegue il giovane Davide Quartucci. Con mostre come questa Volker Feierabend dà ai critici d’arte e ai curatori strumenti per conoscere meglio l’arte italiana e le sue suggestioni sono utili per farla avanzare.