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Farinetti mediatore a difesa del Prosekar: «Bisogna lasciare liberi i viticoltori locali»

I viticoltori del Carso che producono il Prosekar e vogliono conservane l’originalità e l’unicità hanno un nuovo grande alleato nella loro battaglia contro il Consorzio del Prosecco doc: Oscar Farinetti. Il fondatore di Eataly, che ieri ha partecipato al castello di Duino al convegno organizzato dall’Associazione dei viticoltori del Carso, intitolato “L’origine crea il prodotto o è il prodotto a creare l’origine?”, si è proposto come ambasciatore degli interessi dei produttori del Carso, che guardano alla tutela della specificità dei prodotti locali, mentre il Consorzio punta a una diversa politica di vendita.

Come vede la situazione che si è venuta a creare?

«Ci sono da un lato i produttori del Veneto, che sono bravissimi, al punto da arrivare a una produzione di 800 milioni di bottiglie, che rappresenta un fiore all’occhiello per l’Italia a livello internazionale. Dall’altro abbiamo i produttori del Carso, di dimensione molto diversa, ridotta, che però vogliono difendere la loro tradizione, peraltro secolare, che riguarda i vini locali. Credo che i due interessi possano coesistere, perché possono essere complementari e mi adopererò, da terzo esterno, per far coesistere le due esigenze».

C’è anche un aspetto commerciale nella sua riflessione?

«Senz’altro. Il Prosekar viene fatto qui sul Carso da secoli. Lasciando i produttori nella piena libertà di continuare, questo elemento può accrescere l’autorevolezza del prodotto principale del Consorzio, cioè il Prosecco. In sostanza ne possono beneficiare entrambi. Credo che un accordo si possa fare».

Nel suo ragionamento c’è anche una base che possiamo definire di filosofia imprenditoriale?

«Certamente. Tutti noi abbiamo la grande fortuna di essere nati in un paese meraviglioso come l’Italia, che è la somma di una innumerevole serie di luoghi speciali, dove le popolazioni autoctone sono molto legate alla loro terra, alle loro tradizioni. In molti di questi luoghi ci sono imprenditori che fanno tesoro della loro storia e fanno successo. Questa buona sorte che ci è toccata va sfruttata nel senso buono del termine».

Ne ha visti anche sul Carso?

«Assolutamente sì. Proprio oggi, visitando alcune cantine del Carso, ho visto giovani imprenditori che hanno ripreso i concetti ancestrali dei loro avi. In poco tempo ho capito la loro specifica identità, che va raccontata in tutto il mondo».

Ha trovato anche uno slogan per loro?

«Sì. Eccolo: “Vitovska, il vino della terra senza confini”. Perché a mio avviso il nostro futuro è fatto di una terra nella quale non ci sono confini. Le barriere di questo tipo sono una cosa lugubre, inventata da noi umani, per diventare sovranisti, imperialisti, fare le guerre. Invece il Carso è il tipico territorio senza confine, dove si incrociano da sempre culture e lingue».

Ma dietro allo slogan c’è un pensiero più ampio?

Sì e lo dico in inglese: “Think local, act global”, perché è nato così e significa pensa localmente e agisci globalmente. È una riflessione nata nel mondo del marketing alla fine degli anni Sessanta e che trovo efficacissimo. Il significato è semplice e si attaglia perfettamente per i viticoltori del Carso. Si tratta di ripercorrere le proprie origini, cosa che stanno facendo al meglio, e proiettarli a livello nazionale e internazionale. I viticoltori del Carso possono e devono creare impresa a livello locale basandosi sulla loro storia e poi devono andarla a raccontare al mondo per farla conoscere e apprezzare».

Conosceva la Vitovska?

«Sì, ma a livello di operatore del mondo della gastronomia. Adesso che l’ho bevuta in cantina sul Carso è tutta un’altra cosa, anche perché ho scoperto fra i produttori una grandissima umanità».

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