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In Valchiusella l’uomo che sa pettinare i prati: «Le erbe vanno sempre rispettate»

VALCHIUSA. «Io i prati li conosco. C i vado ogni giorno da sempre, da quando ero bambino. Se cerco qualche erba, mi dirigo a colpo sicuro perché so cosa c’è nei prati». Fabrizio Munari racconta frammenti della sua storia sulla soglia della cucina del Centro di Vico Canavese, ristorante, albergo, bar tabaccheria e molto altro. Il “molto altro” è essere un punto di riferimento.

Il Centro è sulla piazza di Vico Canavese, nel cuore della Valchiusella. E il Centro è stato uno dei ristoranti della valle ad ospitare i Giovedì delle erbe, uno degli appuntamenti della rassegna organizzata dal Club Amici Valchiusella composto da un momento pomeridiano con l’Università diffusa della cultura materiale, le magistre di erbe, un farmacista, donne e uomini del territorio che raccontano qualità e caratteristiche di alcune erbe spontanee e da un momento serale con cena in un ristorante della zona. Al Centro, anche un gruppo francese, in valle per uno scambio su questi saperi.

Fabrizio Munari raccoglie le erbe di persona con la sua famiglia. E lo fa con la passione di un uomo che, da sempre, frequenta i prati. Spiega subito che, le erbe, le rispetta. Usa proprio questo termine: rispetto. E, rispettando le erbe, si rispettano i prati e si rispetta la natura. Dal particolare al generale. «Conoscendo i prati, so dove si trovano le erbe - racconta -.Le erbe si raccolgono con rispetto e attenzione. Quando vedo ad esempio che qualcuno ha strappato l’infiorescenza, mi arrabbio. Ma perché? Se si strappano, quell’erba non seminerà, non nascerà una nuova pianta. Bisogna fare molta attenzione. Molta». Se gli si chiede come abbia imparato sorride. «Andando a lavorare in giro e in famiglia – spiega – . Mia nonna cucinava già le erbe. Lo faceva più semplicemente di quanto non faccia io nel ristorante, ma le usava già lei in zuppe, minestre, nella spadellata, nelle frittate. In casa nostra abbiamo sempre cucinato e mangiato le erbe. Per questo le conosco, vivo il prato da sempre». E tra le cose che ha imparato Fabrizio Munari c’è che il prato si cura. O meglio: si pettina. Ma che vuol dire? «Pettinare il prato vuol dire pulirlo in primavera, togliere le foglie e i rami portati dal vento e lasciati lì dall’inverno. Vuol dire ossigenare il prato con il rastrello, non strappare, ma muovere delicatamente. Ora non nevica praticamente più - spiega - ma quando c’è la neve e si scioglie lascia quella specie di lieve pellicola. Con il rastrello si muove delicatamente il prato rompendo questa sottile patina e l’erba ricresce subito. Pulire il prato è importante per la crescita delle erbe».

Fabrizio Munari ha in tasca un diploma da geometra che non ha mai usato. Il suo lavoro è dietro i fornelli della cucina del Centro. Anche qui, dice di avere imparato osservando: «Ho acquisito questo mestiere guardando lavorare in giro e facendo stagioni. Alla mia prima stagione non avevo ancora 13 anni. Siccome sono nato il 28 agosto, il giorno prima la signora dove stavo facendo la stagione mi disse: domani vai a casa perché è il tuo compleanno. Quindi sono 43 anni che facci o questo lavoro, prima stagionale e poi fisso. Da 33 anni sono qui».

Nella cucina di Fabrizio Munari sale e condimenti sono ridotti al minimo: «Capita che chi lavora con me mi dica ma non è troppo poco? No, non lo è. Mangiare deve far star bene. Abbiamo molti anziani che alloggiano da noi in estate, parlo anche di ultranovantenni e anche oltre e non mi è mai stata chiesta una pasta in bianco». Le materie prime sono tutto. La famiglia di Munari gestisce anche un’azienda agricola con 35 ettari di prato e bosco. La sua zuppa di ajucche è, per scelta, composta solo di ajucche, cucinata mitunà, in un grazioso padellino. «Grazie alla mia famiglia, raccogliamo noi le ajucche, le laviamo e puliamo. C’è molto sacrificio nel cucinare le erbe, io cerco di non mischiarle molto», spiega. E precisa: «Le erbe si fanno per piacere e passione. Io ho passione. Non è un qualcosa che si può fare solo con l’approccio di un lavoro. Nel mio menu alla carta, le erbe non ci sono». E torna al concetto di rispetto: «Le erbe vanno rispettate e non è ammissibile che possano essere sprecate. Sono delicate, richiedono un grande lavoro di preparazione che non è possibile monetizzare e io, proprio per questo, voglio offrirle al meglio. Le cucino su prenotazione, a partire da un gruppo di dieci. Quest’anno siamo partiti per tempo, abbiamo proposto delle cene a tema erbe e, mano a mano che si aggiungevano i gruppi, inserivamo date nuove».

La fantasia in cucina non manca, dalle miassette con ricotta e aglio orsino, all’insalata di patacioi a vapore con uova sode e olio di noci o asparagi di bosco con crema all’erba cipollina. Un classico il risotto con le ortiche, con l’aggiunta di malva, erba viperina, silene e borraggine fiorita. Le ortiche sono proposte anche in purea per accompagnare cotechino con bistorta; il tarassaco, invece, si fa confettura per lo strudel di mele.

Fabrizio Munari ama la lettura, la storia e ha aneddoti straordinari da raccontare. Ma questa è un’altra storia.

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