Francia al bivio della storia
La Francia è davanti a un bivio decisivo della sua storia. La destra estrema è alle soglie del potere.
È stata una goccia lenta, quasi invisibile, che da inizio di questo secolo ha pian piano scalfito la roccia della Quinta Repubblica.
Ogni volta che la goccia ha provato ad aumentare di intensità, nel 2002, nel 2017, nel 2022, la roccia è stata protetta dal “fronte repubblicano” (e dal doppio turno, quello che il governo italiano sta rimettendo in discussione): tutti i partiti insieme per tenere a bada quella goccia che risponde al nome di Front (oggi Rassemblement) National della famiglia Le Pen.
Era diventata una forma di controllo automatico, con il giovane presidente della Repubblica, Emmanuel Macron – uno che si definisce né di destra, né di sinistra – certo di essere il baluardo invincibile di quella roccia. Routine, insomma, sembrava.
Lo storico Patrick Boucheron (docente alla Sorbona, membro del Collège de France, pubblicato in Italia da Laterza) giorni fa ha scritto: «Come si riconosce l’imminenza di un evento storico? Non sempre soltanto dal fragore dei tuoni di una tempesta. Quello, quando lo senti, sai che devi metterti al riparo. Capita invece che la tempesta sia lenta ad arrivare, sia capace, a furia di sembrare implacabile, di rendersi impercettibile. Perciò è necessario avere un orecchio fine, capace di far parlare il silenzio, per percepire ciò che si sta tramando in quel silenzioso e falso torpore».
E la tempesta è arrivata: la sera del 9 giugno scorso, appena lette le prime proiezioni dei risultati delle elezioni europee, con il trionfo del Rassemblement National, Emmanuel Macron, in diretta tv, ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblée Nationale, l’equivalente del nostro Parlamento.
Così, di punto in bianco, senza confronti, senza dibattiti parlamentari.
È uno dei limiti evidenti, e rischiosi, del presidenzialismo.
Le reazioni di sconcerto e di rabbia sono state unanimi – partito di Marine Le Pen escluso, ovviamente.
Le letture a tale decisione hanno riempito le discussioni di tutti, addetti ai lavori e avventori di bistrot.
Svolta insensata, quella di Macron, che però ha avuto come conseguenza quella di mettere alla prova l’intero sistema, l’intera nazione: la sinistra che si unisce nel giro di poche ore dando vita al Nouveau Front Populaire.
La destra moderata – quella che fino a poco tempo fa si riconosceva in Charles De Gaulle, una destra lontana anni luce dal lepenismo – che oltre al catastrofico risultato delle Europee, si spacca, con il presidente del partito e altri deputati che saltano all’istante sul carro del vincitore.
Cose note a noi italiani.
Capita allora, a uno scrittore veneziano in trasferta di lavoro a Lille, di viverla da dentro, questa campagna elettorale.
Dal giorno dopo lo scioglimento, manifestazioni spontanee hanno riempito le piazze di Francia.
Nei bar, nei bistrot, non si parla d’altro. Dai giornali e telegiornali sono sparite le guerre.
Le uniche ventiquattr’ore di pausa le riempie Françoise Hardy, icona della canzone francese.
Il 12 giugno tutte le prime pagine annunciano la sua morte. Nemmeno gli europei di calcio sfuggono al dibattito e subito molti dei giocatori francesi prendono posizione durante le conferenze stampa quotidiane, Kylian Mbappé in testa, mettendo in imbarazzo la Federazione calcio francese.
La società civile si mobilita: saranno più di due milioni i voti per procura, per cui chi non ha modo di recarsi al seggio può delegare una persona di fiducia di farlo al posto suo.
E sono stati più di quattrocento mila i voti online di francesi momentaneamente all’estero. Due opportunità inesistenti in Italia.
Poi ci sono i mercati della domenica. Sono un punto fermo per tutti, una tradizione che si tramanda da secoli, il rituale della domenica mattina, in ogni città, ogni paesino, ogni villaggio. Sporta di vimini sotto braccio e via.
Al mercato del Vieux Lille, la parte storica della città, ci si arriva da Rue de La Monnaie, una strada stretta in pavè (siamo pur sempre dalle parti in cui arriva la Parigi-Roubaix).
L’accesso si apre su Place du Concert, i primi banchi sono quelli multicolori dei fiorai, poi quelli altrettanto colorati di frutta e verdura e via via tutto il resto, comprese delle fornitissime bancarelle di libri usati. I bar della piazza sono strapieni anche se pioviggina.
La pioggia, quassù, fa parte del paesaggio, nessuno ci fa caso.
È qui, nei mercati di tutta la Francia, che si è svolta una parte cospicua e decisiva della campagna elettorale più breve e assurda della storia recente.
Alle soglie del mercato, i candidati e i simpatizzanti di tutti i partiti fanno un volantinaggio discreto. Seduto a uno dei bar là attorno, li osservo. Sono riconoscibili dai volantini che tengono in mano.
Quelli del Reassemblemet National stanno un po’ in disparte, a una distanza evidente ma non esagerata dagli altri, come a voler marcare il loro sentirsi diversi, fuori dal sistema, essere nuovi, vorrebbero mostrarti che non hanno nulla a che fare con quello che loro, la destra estrema, chiamano il vecchio apparato.
Un po’ lo stesso linguaggio che il governo italiano ha usato in questi giorni nei confronti dell’Unione Europea.
Si mettono all’angolo da soli, rivendicano una diversità che invece ha radici nel periodo più nero, più buio della storia del secolo scorso. Anche gli altri, più compatti, si muovono con discrezione, nessuno oltrepassa mai la soglia, non si mettono a girare fra i banchi a caccia degli elettori.
È un’immagine che cozza con l’evocazione di clima da guerra civile che lo stesso Macron ha evocato in questi giorni. E non è l’unico a temerlo.
Anch’io ho portato la mia sporta, che però non è di vimini. Mentre sto per entrare, una giovane donna mi avvicina e mi porge il volantino del Nouveau Front Populaire, riconosco il suo ritratto dove accanto c’è scritto “remplaçante”, è in pratica la vice del candidato principale.
Dovesse lui lasciare libero a un certo punto lo scranno, sarebbe lei a sostituirlo. Niente elezioni supplementari, come in Italia.
La ringrazio e le dico “bon courage”, che equivale al nostro in bocca al lupo.
Mi metto in coda al banco della frutta e mi guardo intorno. Mi dico che tutta la Francia, oggi, ha bisogno di un forte e sentito “bon courage”.