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Il governo Meloni prepara la repressione del conflitto, anima di una sana democrazia

Ogni tanto la presidente del Consiglio ritrova una sua vena spontanea e popolaresca e la conta giusta, riuscendo perfino a divenire, per breve tempo e a modo suo, simpatica. Come quando, intervenendo mercoledì scorso alla Camera sull’atroce assassinio del bracciante sikh Satnam Singh, ha giustamente definito “schifosa” la condotta del padrone Lovato che ne ha determinato la morte per dissanguamento per non averlo adeguatamente soccorso, determinando il visibile sconcerto dei suoi due compari Tajani e Salvini. Per essere più credibile la Meloni non dovrebbe tuttavia limitarsi a stigmatizzare il comportamento degli schiavisti e dei negrieri italiani del Terzo Millennio, ma dovrebbe altresì chiedersi perché questa nauseabonda genia di sfruttatori stia proliferando e prosperando all’ombra del suo governo, la cui posizione è sintetizzata dall’ ineffabile cognato secondo il quale non bisogna assolutamente criminalizzare le aziende.

Non si tratta infatti di criminalizzare nessuno ma di rispettare e far rispettare la legge e la Costituzione, cosa che questo governo assolutamente non vuole fare. Esso infatti si regge su di un blocco sociale in buona parte interessato al mantenimento dell’ illegalità che consente l’evasione delle imposte e dei contributi, come pure l’estensione del precariato e la negazione dei diritti sociali più elementari, incentivando lo sfruttamento selvaggio che porta direttamente alla moltiplicazione degli infortuni, delle malattie professionali e degli omicidi sul lavoro. Questo è un fatto politico che va ben al di là della sacrosanta indignazione personale della signora Meloni. E non si può certo pretendere che i sentimenti personali della premier entrino in contrasto colle esigenze di fondo del suo schieramento.

Quest’ultimo pare in effetti ben determinato a sfruttare l’ingannevole abbrivio offerto dal discutibile risultato delle elezioni europee per approfittare del residuo credito accordatogli dal popolo italiano per mettere in cantiere le controriforme che reputa necessarie per consolidare il suo potere, fuggevole come tutte le cose terrene e come massimamente lo sono le fortune politiche accordate a questo o quel reggitore (o reggitrice) degli italici destini.

I relativi progetti sono noti e costituiscono un assalto frontale ai principi fondamentali della Costituzione repubblicana. La punta di diamante è costituita dal cosiddetto premierato che mira ad abolire in pratica, o quantomeno a ridurne le funzioni fino all’irrilevanza, i poteri costituzionali dello Stato, dal Presidente della Repubblica al Parlamento, coll’eccezione per l’appunto dell’Esecutivo presieduto dal Presidente del Consiglio, mentre l’indipendenza della magistratura è bersaglio a sua volta di altri disegni, incarnati per ora dalla cosiddetta separazione delle carriere e dall’indicazione per legge dei reati che vanno perseguiti prioritariamente.

Tutto questo sfavillio di progetti va peraltro inquadrato in un disegno più generale che punta a liquidare la Costituzione repubblicana e il sacrosanto conflitto sociale che di quest’ultima costituisce l’ultima, insostituibile e intoccabile essenza.

È questo, per la verità, l’obiettivo che il governo Meloni si propone di colpire e lo fa anche dotandosi di una pesante attrezzatura repressiva, incarnata nel disegno di legge attualmente in discussione n. 1660 dedicato come di consueto alla “sicurezza”, ma non si tratta certo della sicurezza del lavoro e sul lavoro. L’obiettivo del governo è invece vietare la possibilità di esprimere il conflitto sociale che è la base della Costituzione democratico a e repubblicana. La sicurezza che ricerca è quindi quella dell’esercizio del suo potere arbitrario e antipopolare.

Per consolidare l’incerto potere delle destre la risposta che si prepara al malcontento sociale è quella della repressione. Tale scelta è volta precisamente a stroncare ogni risposta collettiva, come dimostrato dalle pene ingenti previste per reati come il blocco stradale o quello ferroviario e dal significativo antipasto offerto dai pestaggi delle manifestazioni studentesche. Questo in un contesto segnato dalla crescente militarizzazione della società e dalla corsa verso la guerra fredda o calda.

Il governo mira a stroncare il conflitto sociale e politico, per poter continuare a fare i propri comodi alle spalle del popolo italiano. Al di là della sterile diatriba tra “manettari” e “garantisti” è questa la vera posta in gioco. Giustizialismo e garantismo non sono suscettibili di valutazione autonoma al di là degli interessi e delle istanze di classe che sono in gioco nei vari casi. La legge va orientata al conseguimento dei valori costituzionali della cui attuazione costituisce lo strumento. In questo senso la presenza al Parlamento europeo di “pregiudicati” per aver lottato in vario modo per i diritti sociali come Ilaria Salis e Mimmo Lucano, simboli rispettivamente dell’antifascismo
e dei diritti dei migranti, temi ora cruciali insieme a quelli, con essi connessi, della guerra e del clima, costituisce un fatto positivo e importante, proprio per le rispettive importanti ed esemplari vicende individuali e collettive, in tutti i loro aspetti.

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