La procura di Caltanissetta indaga l’ex pm Natoli per favoreggiamento e calunnia: “Insabbiò l’indagine sui Buscemi”
Lo hanno iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento alla mafia e calunnia. La procura di Caltanissetta ha messo sotto inchiesta Gioacchino Natoli, ex magistrato del pool antimafia di Palermo e già membro del Csm. A Natoli è stato consegnato un invito a comparire per il prossimo 5 luglio. Le accuse avanzate dalla procura nei confronti dell’ex collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono gravi: gli viene contestato di aver insabbiato un’indagine per aiutare mafiosi e imprenditori vicini a Cosa nostra.
“Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità”, si è limitato a dichiarare Natoli all’agenzia Ansa.
Gli addebiti mossi dalla procura guidata da Salvatore de Luca riguardano una vecchia inchiesta di cui Natoli ha chiesto l’archiviazione nel 1992, quando era da pochi mesi diventato pm a Palermo. Si tratta di un’indagine per riciclaggio, nata su input della Procura di Massa Carrara, che lavorava sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nelle cave di marmo in Toscana. L’inchiesta riguardava i fratelli Nino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini, anche davanti ai parlamentari di Palazzo San Macuto.
Nei mesi scorsi questa vicenda è stata fonte di roventi polemiche: nel settembre del 2023, davanti alla commissione Antimafia, era stata raccontata dall’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino. Dopo aver legato quell’indagine al dossier Mafia e appalti (in realtà si tratta di due vicende separate), il legale aveva accusato Natoli di aver “inspiegabilmente” chiesto di smagnetizzare le intercettazioni dei fratelli mafiosi e distruggere i brogliacci. “Chi ha disposto la distruzione avrebbe dovuto giustificarsi di fronte a Borsellino, se Borsellino fosse sopravvissuto”, aveva sostenuto l’avvocato. “Queste affermazioni denigratorie, tutte clamorosamente destituite di fondamento, attengono a fatti il cui accertamento ritengo risulti indispensabile per il lavoro di questo commissione”, ha detto invece oggi Natoli, che ha passato gli ultimi mesi a ricostruire ogni dettaglio di quella vecchia indagine. Il risultato di questo suo lavoro di ricostruzione è stato esposto prima in un’intervista al Fatto Quotidiano e poi durante un’audizione sempre davanti all’Antimafia.
Ma anche in una memoria che l’ex magistrato ha inviato via mail pure alla procura di Caltanissetta.
Ed è da quella pec inviata a febbraio del 2024 che sembra aver tratto origine il fascicolo (numero 808/2024) in cui è indagato Natoli. I pm nisseni, infatti, gli contestano di aver negato che fosse sua la grafia presente nel decreto di distruzione delle bobine e dei brogliaggi dell’indagine. In questo modo Natoli avrebbe sostenuto l’esistenza del reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici: da qui nasce la contestazione di calunnia. “Segnatamente – si legge nell’invito a comparire – affermando che la locuzione manoscritta e la distruzione dei brogliacci, vergata sul provvedimento di smagnetizzazione delle bobine delle intercettazioni telefoniche eseguite nel procedimento penale n. 3589/1991, recante la sua firma e depositato in data 25 giugno 1992, era stata apposta dopo il deposito del predetto atto presso la segreteria del C.I.T. (Centro Intercettazioni telefoniche), incolpava Galati Damiano, in quel momento responsabile amministrativo di tale Ufficio, che aveva ricevuto personalmente il suindicato provvedimento, del sopra citato delitto di falso materiale, pur sapendolo innocente”. Nei mesi scorsi Natoli aveva spiegato come all’epoca dei fatti quella di chiedere la distruzione delle bobine originali delle inchieste fosse una prassi richiesta dal ministero per motivi di spazio e di costi. È per questo motivo che anche lui chiese di distruggere i nastri con le intercettazioni dei Buscemi. “Era un atto pedissequo, una prassi necessitata. E infatti in quel provvedimento, che mi fu portato dall’Ufficio intercettazioni, di mio c’è solo la firma. Il resto non è la mia calligrafia”, aveva detto al Fatto.
Secondo la procura di Caltanissetta, Natoli ha sostenuto di non aver compilato lui quella richiesta di distruzione delle bobine per occultare il resto delle sue condotte. L’ex magistrato è infatti accusato di aver insabbiato l’indagine aperta a Palermo sulle infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo. Un’accusa contestata in concorso con l’ex procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco (che per i pm di Caltanissetta fu “l’istigatore” dell’insabbiamento) e l’allora capitano della Guardia di finanza Stefano Screpanti, oggi generale, accusato di essere “coesecutore materiale” di quella condotta. Secondo i pm di Caltanissetta Natoli voleva “aiutare” i boss di Cosa nostra Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli amministratori del gruppo Ferruzzi Raul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini. Nell’invito a comparire si accusa di Natoli di aver messo in campo un'”indagine apparente“, “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai quaranta giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione”, nonché di aver disposto, “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di finanza Screpanti che provvedeva in tal senso, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la ‘messa a disposizione’ di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo a carico di Bonura per un duplice omicidio“, che era in corso di fronte alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo.
E ancora, secondo la procura di Caltanissetta, Natoli non aveva aperto alcuna indagine nei confronti degli imprenditori Luciano Laghi e Claudio Scarafia, “sebbene i due fossero risultati a completa disposizione di Bonura e dei suoi familiari” e avrebbe chiesto l’archiviazione del procedimento “senza curarsi di effettuare ulteriori approfondimenti e senza acquisire il materiale concernente le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica di Massa Carrara”. Infine, scrive ancora la procura di Caltanissetta, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci“. In realtà, come ha sostenuto Natoli, all’epoca la smagnetizzazione dei nastri. “All’epoca la smagnetizzazione delle bobine era una prassi della Procura, richiesta dal ministero per motivi economici“, aveva detto il magistrato al Fatto. Spiegando anche che in realtà quei nastri non furono effettivamente distrutti ma rimasero in archivio. “Mi permetta di dire che se avessi voluto proteggere i Buscemi mi sarei quantomeno assicurato che la smagnetizzazione fosse portata a termine”, aveva aggiunto l’ex magistrato, che aveva ripetuto tutti questi concetti anche davanti alla Commissione Antimafia.
Secondo la procura di Caltanissetta, tra l’altro, i reati addebitati a Natoli sarebbero stati commessi con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra ” con riferimento agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti (operazione gestita unitamente al mondo imprenditoriale e a quello della politica)”. Un riferimento che sembra collegare l’indagine archiviata da Natoli nel giugno del 1992 al fascicolo Mafia e appalti, quello che secondo il Ros dei Carabinieri e lo stesso avvocato Trizzino sarebbe il movente segreto della strage di via d’Amelio. In realtà, però, l’indagine collegata aperta a Palermo (il fascicolo principale rimase sempre alla procura di Massa Carrara, prima di essere spostato a Lucca per competeneza) non si occupava di appalti, ma delle infiltrazioni mafiose nelle cave del marmo. Diversa è invece la storia del dossier del Ros dei Carabinieri, consegnato alla procura di Palermo il 16 febbraio 1991. In quel corposo volume, tra l’altro, comparivano varie schede di personaggi ritenuti interessanti sotto il profilo investigativo dagli uomini dell’Arma. A parte quello di Buscemi, però tra quei non compariva nessuno dei nomi degli imprenditori che oggi Natoli è accusato di aver protetto.
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