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Dino Radja si racconta: «Lavoro a Trieste, il basket non mi manca»

Dino Radja si racconta: «Lavoro a Trieste, il basket non mi manca»

foto da Quotidiani locali

No, il basket non gli manca. Prima, due ori europei, due argenti olimpici, quattro anni nella Nba con i Celtics, due Coppe Campioni con la sua Spalato, una Coppa Korac con Roma, due scudetti greci con il Panathinaikos e, nel 2018, l’inserimento nella Basketball Hall of Fame, la consacrazione assoluta.

L’oggi di Dino Radja è fatto invece della residenza in Istria e di. ..Trieste. «Da un anno ho aperto un negozio con i miei figli e per i miei figli. Bisogna coltivare l’etica del lavoro».

Lo showroom di arredo bagno è stato battezzato scherzando con il nome del campione (Arredino).

Lo separano dal PalaTrieste appena trecento metri. Eppure è come se il tempio del basket triestino fosse lontano decine di chilometri. «Non ho visto nessuna partita di A2, solo qualche gara dello Jadran di mio figlio».

Radja, perché Trieste?

«Semplice: perché vivo in Istria, praticamente è dietro l’angolo. E poi perché Trieste per me ha un significato particolare».

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Quale?

«È la prima città italiana che ho conosciuto. Quando mi hanno portato qui per la prima volta avevo 6-7 anni. Un bambino di Spalato. La prima lattina di Coca Cola della mia vita l’ho presa in mano a Trieste. Era il 1973. Quando sono tornato a casa era come se avessi portato con me un frammento dello Space Shuttle. Trieste, subito oltre il confine, sembrava un altro mondo. Si venivano a prendere caffè, jeans. Non posso dimenticarlo».

E la Trieste vissuta da giocatore avversario?

«Ricordo amichevoli tra le Nazionali, è sempre stata una piazza legata al basket».

Tanjevic ai tempi della Stefanel tentò di portare Drazen Petrovic a Trieste. Con lei non fece alcun tentativo?

«No. Ma con Boscia ho un rapporto bellissimo, lo considero un grande uomo. Un genio».

Il basket le ha lasciato rapporti umani profondi.

«Anche se non lo vivo più direttamente conservo tanti amici. Roberto Premier, ad esempio, che sta a Gorizia. Qui ho incontrato Stefano Attruia che con Donato Avenia porta avanti il progetto di recupero dei detenuti attraverso il basket. Erano miei compagni di squadra alla Virtus Roma».

Roma che non c’è più.

«Purtroppo. Una piazza importante ed è un peccato che non ci sia, in mezzo a Milano, Bologna, Pesaro, Varese Venezia, Treviso, Trieste, insomma tutte quelle città dove il basket è vissuto con passione».

L’amico fraterno, però, abita dall’altra parte dell’Oceano.

«Io e Toni Kukoc ci conosciamo da quando avevamo 15 anni. Siamo cresciuti insieme e non ci siamo mai persi di vista, nemmeno adesso che sta negli Usa mentre io sono rimasto da questa parte dell’Atlantico. Sono legato più a una mentalità europea, mediterranea. Io e Toni siamo stati e saremo sempre amici veri, anche quando eravamo avversari in campo».

Successe anche nella Nba. Kukoc nei Chicago Bulls di Jordan, lei per quattro anni con i Boston Celtics. La franchigia che ha appena vinto l’anello “pro”.

«Finalmente. Sono contento perché sono sempre rimasto legato a Boston. Impazzivo per il loro modo di interpretare lo sport e l’attaccamento alla squadra. Sapete come dicono: “Once a Celtic, always a Celtic”».

Una volta che diventi un Celtic lo resterai per sempre. Però la sua avventura finì in modo burrascoso. Si disse per incomprensioni con il coach Rick Pitino.

«Era cambiato il management e lui non si comportò in modo corretto con me. Io avrei voluto un rapporto più diretto, avevo 30 anni ero uno dei migliori della squadra, credevo di meritarlo. Bastava che mi dicesse: “Guarda Dino, voglio giocatori più giovani con caratteristiche diverse” e ci saremmo salutati. Anche un divorzio si può gestire in modi diversi. Si può litigare oppure si resta amici».

Le piace il basket Nba?

«Sinceramente preferisco le partite di Eurolega, si combatte di più. In America nella stessa partita capita che una squadra vada avanti di 30 punti e poi perda di 20, qui c’è più tensione. Ho l’impressione che adesso la Nba sia soprattutto un business. Del resto, ha un grande successo ed evidentemente piace così. Adesso, però, faccio io una domanda. Qual è il suo primo ricordo di partite Nba? »

Le finali tra i Lakers di Magic e Jabbar e i Celtics di Larry Bird. Indimenticabili.

«Ok. Immagino che se le chiedo chi erano gli altri giocatori non avrà problemi a ricordarli».

Worthy, Wilkes, Mc Hale, Parish...

«Perfetto. E adesso indovino che invece faticherebbe ad elencare dal terzo al settimo i giocatori dei Dalls Mavericks finalisti quest’anno. Perché ci sono Doncic e Irving. E, solo dopo, gli altri».

Chi è stato il giocatore migliore tra quelli che ha visto?

«Trovo ingiusto fare paragoni. C’è questa tendenza a fare confronti ma ognuno è figlio della propria epoca e del gioco di quel periodo. Non è giusto comparare Michael Jordan a LeBron James. (Ride). Comunque, sì, dico Jordan...»

E adesso?

«Doncic e Jokic, due geni».

Di Jokic oltre al talento colpisce come affronta con leggerezza e spontaneità la vita di una star Nba. Alle passerelle preferisce occuparsi dei suoi cavalli o stare con gli amici.

«Non è un tipo da Instagram. Può fare sorridere per i suoi atteggiamenti naif ma dietro al suo successo c’è tanto, tanto, lavoro».

Radja, pare disincantato quando parla del mondo del basket attuale.

«Mi sono allontanato dal basket perché i tempi sono cambiati. Oggi i ragazzi non hanno voglia di investire in sè stessi come giocatori, non c’è interesse a sacrificarsi perché quello che conta è ottenere tutto velocemente. Ma per arrivare alle stelle bisogna fare fatica. Per me, da giovane, 6-7 ore al giorno di palestra erano la regola. Adesso chi le fa? »

Se giocasse adesso come si troverebbe?

«Credo che ancora adesso, a 57 anni, potrei dire la mia se non fosse per gli acciacchi. Se fossi il Dino trentenne potrei fare quello che voglio. Parlo seriamente. Non ci sono più lunghi che sanno e vogliono giocare spalle a canestro. Più facile prendersi tiri dal perimetro. Non nego l’importanza della componente atletica ma un giocatore deve possedere buoni movimenti e fondamentali. E mi sembra che tipi così siano una specie in estinzione». —

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