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Sui (fascio) Patrioti di Orban va in onda lo scontro tra Tajani e Salvini

Sono i Patrioti per l’Europa di Viktor Orban, il nuovo pomo della discordia tra Antonio Tajani e Matteo Salvini. Al leader di Forza Italia, che boccia la creatura del presidente ungherese come «ininfluente» perché «nessuno vuole discutere con loro», il leghista ribatte: «Aspettiamo metà luglio per verificare chi è rilevante e chi è irrilevante». E il tono suona come una sfida.

Il duello tra i due vicepremier va in scena tra i vigneti e la terra rossa del Salento. Ring improvvisato diventa la masseria di Bruno Vespa che accoglie i due leader, da giorni distanti per tono e posizioni e non solo sull’Europa. Gli alleati in Italia aprono le danze dei `Forum in masseria´, in programma fino a domenica nella tenuta del giornalista a Manduria con mezzo governo invitato.

Tajani e Salvini si avvicendano sul palco, uno dopo l’altro senza incrociarsi – a parte una stretta di mano caldeggiata da Vespa a favore di telecamere – ma la staffetta tra loro certifica l’ennesima divisione. Ancor di più nel giorno in cui Orban, fresco di presidenza di turno del Consiglio europeo, vola a Mosca da Putin. E contemporaneamente gli spagnoli di Vox dicono addio al partito dei Conservatori, scegliendo appunto i Patrioti ungheresi e voltando le spalle all’amica Giorgia Meloni che guida la squadra di Ecr. Ora, quindi, con l’adesione ai patrioti della destra di Santiago Abascal (e subito dopo quello degli olandesi di Geert Wilders) Ecr rischia di non essere più il terzo gruppo del Parlamento europeo, scalzata dall’ultradestra.

Novità che rischiano di aggrovigliare il nodo sul ruolo e il peso di Ecr (e della premier italiana) rispetto ai giochi ancora aperti sulle nomine europee. Realisticamente lo strappo di Vox non è stato una vera sorpresa per Meloni, e quanto meno anticipata a voce. Del resto Abascal conferma ufficialmente che Giorgia «rimarrà sempre un’amica e un’alleata» ma il passaggio ai Patrioti è «un’opportunità storica» che non poteva perdere. E successivamente i meloniani d’Europa smorzano i toni, ricordando che «con Vox abbiamo cinque anni di appassionate battaglie condivise tra Bruxelles e Strasburgo». In realtà inevitabilmente l’addio brucia, mentre la Lega esulta cavalcando subito la novità. Il passaggio di Vox è «un segnale importantissimo», sottolinea una nota firmata dal partito di Salvini. Poco dopo è il `capitano´ leghista a ribadire il concetto annunciando: «Noi stiamo seriamente prendendo in considerazione la possibilità di fare parte di quello che può essere il terzo gruppo al Parlamento europeo». Ma per Tajani i numeri non contano. Non solo sminuisce l’iniziativa ungherese come «un progetto politico» embrionale perché «mancano ancora uno o due nazionalità, in base al regolamento del Parlamento». Ma taglia corto sui numeri: «non bastano per essere protagonista. Se ci sono posizioni anti europee e di contrasto sui fondamenti dell’Unione europea, è difficile poter avere un dialogo».

Distanze evidenti anche sul faccia a faccia tra Orban e Putin: «Io non ci sarei andato, se fossi stato in Orban», sentenzia il segretario azzurro, convinto che «non è questo il modo per trattare». Salvini assicura che l’atlantismo dell’Italia non è in discussione e nemmeno la coesione del governo a Roma, ma non rinuncia a criticare per l’ennesima volta il presidente americano Biden, definendo «sinceramente preoccupante» l’ultima gaffe dell’inquilino della Casa Bianca. Parole che Tajani non condivide e non lo nasconde: «Io uso un linguaggio diverso dal ministro Salvini, siamo diversi». Tanto diversi, oggi pure nel look come notano i più maliziosi: tradizionale blu per il ministro degli Esteri e un insolito completo di lino beige per Matteo.

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