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’Ndrangheta di Ivrea, il processo a Torino

’Ndrangheta di Ivrea, il processo a Torino

Accolta la tesi difensiva: l’estorsione mafiosa deve ritenersi superiore rispetto all’accusa di far parte del sodalizio

Ivrea

Locale della ’ndrangheta di Ivrea? Il processo si celebrerà a Torino. Il collegio presieduto dalla giudice Stefania Cugge ha sconfessato la decisione sulla competenza di Ivrea presa dal gup di Torino. «In buona sostanza - spiega Celere Spaziante, avvocato difensore - le difese hanno eccepito il fatto che il reato di estorsione aggravato dal metodo mafioso, commesso nel circondario di Torino, sia più grave dell’associazione mafiosa classica, commessa a Ivrea. Così il reato più grave attrae tutto il processo». E il collegio ha dato ragione alle difese.

A Torino anche gli abbreviati
In realtà la maggior parte degli eporediesi coinvolti, accusati di associazione mafiosa, sarà giudicata il 25 luglio con rito abbreviato a Torino. I pm Livia Locci e Dionigi Tibone hanno chiesto un totale di 41 anni di carcere nel processo sulla locale eporediese.

A scegliere il rito ordinario, tra i canavesani, sono stati soltanto Piero Speranza, 64 anni, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e difeso dall’avvocato Cesare Maria De Carolis del foro di Milano e Marta Speranza, 34 anni, difesa dall’avvocato Celere Spaziante, accusata di porto d’arma abusiva, perché avrebbe custodito una pistola di Domenico Alvaro, considerato la mente sul territorio della locale di Ivrea, già detenuto all’epoca.

Speranza è anche persona offesa

Piero Speranza, tra l’altro, risulta anche persona offesa, perché insieme a Francesco Vavalà avrebbe subito un’estorsione aggravata dal metodo mafioso da parte dei fratelli Giuseppe e Francesco Belfiore, difesi dall’avvocato Marco Ferrero.

I magistrati Locci e Tibone hanno raccolto prove su alcuni episodi di truffa ed estorsione, che spesso i sodalizi criminali avrebbero perpetrato anche tra di loro.

Quella di Ivrea sarebbe la quinta locale pura in Canavese (secondo la Dia sono 16 quelle che operano in Piemonte), cioè riconosciuta dalla mamma di San Luca, oltre a quelle di Cuorgnè, San Giusto, Volpiano e Chivasso. Proprio da Chivasso, però, veniva diretta questa organizzazione, secondo i pm, da Alvaro. Il padre putativo dell’organizzazione era ritenuto Carmine Alvaro, genitore di Domenico, che nel frattempo è deceduto.

Respinta richiesta di domiciliari

Speranza intanto aveva chiesto di sostituire la misura cautelare in carcere - attualmente si trova a Verona -, con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari.

Il ricorso è stato respinto, però, anche dalla Corte di Cassazione, lo scorso 24 maggio. Quindi, Speranza, resterà ancora in carcere.

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