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«Siamo tutti periferia»: il dibattito a Trieste per la Settimana sociale dei cattolici

«Siamo tutti periferia»: il dibattito a Trieste per la Settimana sociale dei cattolici

foto da Quotidiani locali

TRIESTE «Siamo tutti periferia». Queste parole sono state pronunciate ieri pomeriggio in piazza Ponterosso a Trieste da Eugenia Carfora, preside dell’Istituto Morano a Caivano, una scuola di frontiera a nord di Napoli.

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La professoressa ha portato il suo contributo durante l’incontro “Periferie: le città viste dai margini”, nell’ambito della Settimana sociale dei cattolici di Italia, assieme a Giovanni Carrosio, professore dell’Università di Trieste, e don Mario Vatta, fondatore della Comunità di San Martino al Campo.

Durante il dibattito i relatori hanno spiegato, partendo dalla propria esperienza, il concetto di periferia: un ambiente sempre più diffuso e difficile da inquadrare, ma che nella sua instabilità racchiude un seme di cambiamento.

«Le periferie – ha spiegato il sociologo Carrosio – sono qualcosa di più fluido rispetto al passato. Un tempo, la periferia era tutto quello che stava fuori dal centro, quindi dal punto di vista spaziale era facilmente identificabile: c’era una precisa sovrapposizione tra la periferia spaziale e la periferia sociale. Oggi, invece, è tutto molto più complesso. I cambiamenti della nostra società producono continuamente nuove fratture e nuove forme di marginalizzazione, quindi ci sono periferie sparse a macchia di leopardo anche nei centri delle nostre città».

Ad esempio, sono emerse nuove figure sociali come i lavoratori poveri: persone che lavorano ma hanno salari molto bassi. «Questo – ha aggiunto il sociologo – rende complesso l’intervento sulla povertà, perché spesso si tratta di forme di povertà non certificata, che non godono di politiche di sostegno. Forse, una parte del vuoto democratico che sta emergendo oggi risiede proprio qui, in un bisogno forte che le persone gridano, ma non trova risposta da parte di nessuno».

È seguito l’intervento di Eugenia Carfora, docente famosa per avere dimostrato che, anche in situazioni di violenza e degrado, è possibile chiedere responsabilità e mostrare un volto di possibilità ai ragazzi. Per questo, Carfora è stata premiata come miglior dirigente scolastico in Italia nel 2020.

«In periferia – ha detto la preside – quello che mi ha colpito di più è l’indifferenza, le persone che fanno finta di niente. Ma proprio questo mi ha indotto a restare, per aiutare i ragazzi a costruirsi la libertà del domani. Pulire e ordinare è stato il mio primo obiettivo, e non è che tutti fossero subito disposti a rispettare le regole. Ma se tu resti lì, a rispettare le regole, diventi un modello: fare la nostra parte, farla bene e con correttezza, può fare la differenza». Carfora ha poi descritto le periferie come un ambiente creativo, pieno di ingegno. «In centro è tutto facile – ha motivato la professoressa – perché dovunque ti giri, trovi la bellezza. Ma nelle periferie, la bellezza devi andartela a cercare. Per questo, le periferie hanno un’energia che dobbiamo portare in giro».

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Sulla stessa lunghezza d’onda il fondatore della Comunità di San Martino al Campo. «In periferia – ha detto don Mario Vatta – si trova chi soffre, in quanto costretto ad accettare ciò che altri hanno deciso per lui. E quindi comincia a incontrarsi con persone nella sua stessa condizione, per trovare nuove idee che possono diventare soluzioni per la collettività. Questa è la grande proposta che può venire dalla periferia».

Don Mario ha poi portato due esempi di come una situazione di periferia possa generare bellezza e stimolare la partecipazione sociale. Il primo è l’esperienza di Franco Basaglia. «Il manicomio – ha spiegato il prete – è una delle prime periferie che abbiamo vissuto qui a Trieste: 1.300 ricoverati destinati a morire là, senza diritti, senza un gesto di tenerezza. Ma proprio da quella periferia è venuto un messaggio rivoluzionario, che si è diffuso non solo in questa città, ma in tutta Italia e oltre».

Poi, don Mario ha parlato di Borgo San Sergio, quartiere di periferia «dove vivevano gli sfrattati e coloro che venivano dagli ex campi profughi. Era un borgo malfamato. Eppure, proprio da lì, è venuto un messaggio molto forte di cultura e apertura, grazie al preside Giancarlo Roli, che vi aprì quella che è stata la prima scuola a tempo pieno e integrata d’Italia».

«Guardare il mondo dalle periferie – ha concluso Carrosio – è importante, perché guardando chi soffre si possono capire le contraddizioni della società e ideare politiche pubbliche partendo dai bisogni reali delle persone, riportandole così al centro dei processi democratici».

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