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L’espressionismo italiano in esposizione

Non si organizzava una mostra dedicata all’espressionismo italiano dal 1990, quando Renato Barilli e Alessandra Borgogelli ne curarono una alla Mole Antonelliana, a Torino.

Protagonisti dell’espressionismo italiano’, una mostra curata Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta. Tra le sue sale, 130 opere della Gam, della collezione Giuseppe Iannaccone di Milano e quelle capitoline dei Musei di Villa Torlonia e della Casa museo Alberto Moravia.

L’esposizione è stata divisa in tre su base geografica: Roma, Torino, Milano. Rispettivamente: la Scuola di via Cavour, i Sei di Torino, la Corrente di Vita giovanile. Un arcipelago di esperienze collegate tra di loro dall’aver guardato ad altre forme d’arte. E aver trovato una visione comune che viene ben riassunta dalla citazione di Arnaldo Babodi in apertura della mostra: “La deformazione è un principio fondamentale dell’arte”.

“Già negli anni Venti c’era la fotografia – spiega una delle curatrici, Daniela Vasta – ma questi artisti percorrono un sentiero alternativo, la forma deformante e il colore”. Una “deformazione” che rappresenta il modo soggettivo che l’artista ha di guardare alla realtà, ma che allo stesso tempo ha permesso agli espressionisti italiani di “raccontare una storia dell’Italia incredibilmente vera in un periodo in cui un’arte libera non era possibile”, racconta il curatore della collezione Iannaccone, Daniele Fenaroli.

Un’idea evidente fin dall’opera che, entrando, apre l’esposizione. È “Il Cardinal decano” di Gino Bonichi, in arte Scipione: il porporato si trova in un’atmosfera apocalittica, attorniato dai simboli del potere ecclesiastico. Deformato è anche il volto di Scipione stesso nel suo autoritratto, che affianca quello del cardinal Vannutelli. E non sono realistici nemmeno i colori della Roma di Antonietta Raphaël, che nei blu, verdi e gialli della sua pittura porta il ricordo della Lituania. Regole che valgono anche per le pennellate di Fausto Pirandello, con i suoi corpi carichi di colore in “Composizione (Siesta Rustica)”, nelle linee scomparse e sostituite da pennellate fluttuanti di Carlo Levi. E che si ritrovano nel ‘rosso operaio’ – così lo definiva Pier Paolo Pasolini – di Renato Guttuso, soprattutto nei tre ritratti che fa di sé, Mario Alicata e Antonino Santangelo. Infine, a dominare l’ultima sala c’è la “Battaglia dei tre cavalieri” di Aligi Sassu, una scena mitologica che l’artista esegue dopo la detenzione per motivi politici, e in cui rappresenta l’inutilità della guerra.

Oltre alla mostra, la Gam ospiterà fino al 3 novembre anche “À jour”, un progetto dell’artista Laura VdB (Van der Bol) Facchini. Si tratta di un’installazione che avvolgerà l’edificio della galleria, che ha sede nell’ex convento delle Carmelitane scalze a san Giuseppe a Capo le case, dalla facciata al chiostro. È una specie di grande arazzo tridimensionale composto dal ricamo di strisce di polietilene bianco e trasparente, ricamate, lavorate e intrecciate.

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