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Trieste e le sue gallerie: la storia dei gangli naturali nella mappa interattiva

Trieste e le sue gallerie: la storia dei gangli naturali nella mappa interattiva

Tra passato e futuro, fin dal Novecento il tessuto urbano è stato trasformato a partire dal tunnel della Costiera

Se le strade di Trieste rappresentano, a livello di trasporti di merci e persone, le arterie del suo corpo urbanistico, possiamo ben definire le gallerie gangli vitali che, nel caso di chiusure o riparazioni, immobilizzano la città.

Il caso recente dei lavori per la Galleria di Montebello appare calzante; ed è solo una delle tante componenti di un sistema di gallerie costruite negli ultimi due secoli.


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L’arrivo a Trieste

Giungendo a Trieste e percorrendo la strada Costiera definita nel 1932 «tra le più pittoresche d’Italia» ci si imbatte nella prima galleria: si tratta di un breve attraversamento nella roccia viva del Carso, scavata a colpi di esplosivo negli anni Venti.

Il progetto di una Costiera appare già presente a inizio Novecento. Era stato infatti richiesto a gran voce dal mondo friulano e da coloro, che a Trieste intrattenevano rapporti commerciali col giovane Regno d’Italia.

Nonostante si presentasse quale un naturale prolungamento della città verso occidente, la Costiera era però bloccata da una ragione d’ordine politico e una di ordine ingegneristico. Era infatti sottinteso, da parte delle autorità austriache, che disporre di un collegamento diretto verso l’Italia esponeva a rischi geopolitici: una strada utile al commercio verrà infatti percorsa, in caso di aggressione militare, anche dai soldati. In secondo luogo, accanto ai costi per una simile realizzazione, non si comprendeva come aggirare il castello di Miramare e il connesso parco.

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I lavori nei primi del Novecento

Un primo impulso alla realizzazione, ancora negli anni Dieci del Novecento, giunse dalla scena imprenditoriale monfalconese: lo sviluppo dell’industria cantieristica, in particolar modo del Cantiere navale Trieste dei fratelli Callisto e Alberto Cosulich richiedeva efficaci collegamenti con la città.

E ciò non solo per le materie prime, quanto per gli operai che andavano affollando il nuovo quartiere di Panzano. In questo contesto un iniziale progetto dell’ingegnere Mazzorana fu bloccato dallo scoppio della Prima guerra mondiale; recuperato dall’ingegnere Alfredo Camanzi, a capo del Genio civile di Trieste, fu iniziato negli anni Venti e concluso soltanto nel 1928, totalizzando 10 milioni di lire di spesa totali.

La lunghezza del tracciato e la profondità dello scavo comportarono diverse difficoltà; e proprio le gallerie rappresentarono il principale ostacolo. Sotto il profilo tecnico l’amministrazione comunale tardava a pagare le ditte incaricate che, a propria volta, non disponevano di liquidità con cui retribuire i propri operai; inoltre i lavori causarono problemi ai terrazzamenti degli agricoltori nella zona che protestavano per i danni.


Le prime gallerie

La prima parte della Costiera, da Cedas a Santa Croce, presentava crostello di arenaria e pertanto si scavò col piccone; da Santa Croce a Sistiana si dovette invece usare la dinamite per sbancare le masse di roccia.

E fu così che si realizzò la prima galleria “naturale”, detta “di Sistiana”; muraglioni a picco sul mare, con 75 metri di altezza. Invece di attraversare il parco di Miramare, come si ipotizzava a inizio Movecento, si preferì realizzare altre due gallerie sotto la “verde meraviglia”. Nell’occasione si costruì il piazzale, con gusto neogotico, di accesso al parco.

Giunti in centro città, la prima galleria che si incontra è quella di Montuzza, poi rinominata Sandrinelli: connette le piazze Goldoni e Sansovino, proseguendo poi con la galleria di San Vito.

Quando, a seguito della saturazione degli spazi del Porto Vecchio di Trieste, si scelse di allargarsi a Sant’Andrea e si costruì la stazione di Campo Marzio, l’idea di un raccordo ferroviario tramite una galleria sotto Montuzza e San Vito parve naturale, ma alla fine si i preferì optare per la Rivabahn, il treno sulle Rive.

Il progetto della galleria, stavolta con linea tranviaria, venne però recuperato, inserendovi un tratto aperto con una pendenza adatta a chi discendesse il colle con i carri.

L’ingegnere Edoardo Grulis realizzò il progetto demolendo le vecchie case di fronte all’imbocco del traforo: il 19 agosto 1904 iniziarono gli scavi, ultimati il 18 novembre 1905. Per la cittadinanza rappresentò un’opera di cui essere orgogliosi, all’epoca all’avanguardia: sistemi di tubature con cui raccogliere le infiltrazioni d’acqua, cemento Portland per l’ossatura principale e mezzo milione di piastrelle di ceramica delle fabbriche della Boemia per la volta.

Trieste, la città dei progetti

Se lo scavo fu un affare breve che richiese un anno e mezzo, la fase progettuale si trascinò a lungo: Il Piccolo dell’11 febbraio 1908, a ridosso dell’inaugurazione, scriveva che

Trieste si canzonava da sé chiamandosi “la città dei progetti”, poiché si aveva un progetto ogni giorno e quasi tutti rimanevano, naturalmente, allo stato di desiderio.

Erano state d’altronde molte le preoccupazioni per uno scavo svolto nel pieno centro della città: si obbligò ad esempio, per un breve periodo, a spostare l’asilo sopra la galleria e Villa Basevi protestò vivacemente perché le mine turbavano i delicati strumenti dell’Osservatorio astronomico.

Detta di Montuzza o della Fornace, la galleria fu intitolata al podestà Sandrinelli nel primo dopoguerra. La soprastante Scala dei giganti, realizzata dai Berlam tra il 1905 e il 1907, incornicia la galleria antropomorfizzando il colle: molteplici scrittori hanno osservato che l’imboccatura sembra la bocca di un volto disteso sul colle.

La galleria di San Vito, scavata nel 1911 da via Bernini a via Alberti, si pone come naturale evoluzione, protesa allora come adesso verso la zona industriale.

Allontanandosi dal centro e dirigendosi verso il cimitero di S. Anna e Muggia ci si imbatte infine nella galleria di Montebello. La struttura nacque, nel 1943, come rifugio antiaereo presso Piazza Foraggi, chiamato “Rifugio Littorio”. Venne completato, dall’altro lato, dal “Ricovero Razza” in via Salata.

Le gallerie nel dopoguerra

La galleria era già presente, perché c’era un tunnel di servizio che connetteva entrambi i rifugi. Il Governo militare alleato scelse, nel 1949, di abbattere la sezione centrale e di trasformare il (doppio) rifugio in una galleria, allargando i portali di ingresso. Il tunnel rivestì, fin dai primi anni, un ruolo importante onde alleggerire il traffico veicolare: però la manutenzione iniziò a latitare dagli anni Ottanta in poi.

La Regione Friuli Venezia Giulia concesse, tra gli anni Novanta e i primi del Duemila, diversi fondi per il suo recupero che non fu mai realizzato, aggravando il cantiere poi portato avanti – con grandi difficoltà – tra il 2022 e il 2023.

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