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Leggende, storie e dettagli nascosti: le curiosità più belle delle gallerie scavate a Trieste

Le gallerie in caso di bombardamento aereo rappresentano il primo luogo di rifugio, dopo le cantine e i sotterranei; e nel caso di Trieste si è verificato un processo contrario, considerando come i rifugi diventino, una volta allargati, apposite gallerie percorribili dal traffico.

Partendo dall’ossatura centrale delle principali gallerie triestine si diramano diversi rami secondari, nati quale esigenza di protezione nei confronti dei bombardamenti degli Alleati.

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In questo caso la funzione precede la forma: già tra il 1916 e il 1917, quando l’Italia bombardava la Trieste austriaca, le gallerie Montuzza e San Vito venivano utilizzate quale rifugio o erano coperte di strati di sacchi di sabbia e mattoni.

La Seconda guerra mondiale permise il recupero di questi abbozzi di rifugi e portò a un loro cospicuo ampliamento, generando gallerie tutt’oggi presenti, sebbene chiuse o degradate al rango di discarica.

Si tratta di un “rimosso” bellico che riemerge nel gossip di quartiere e nelle esplorazioni urbane: storie fantasiose di tank nazisti nascosti durante il periodo del Litorale adriatico o, nell’ambito di recenti indagini del 2012-14, le carrozze asburgiche che marciscono nella galleria di via Gabriele D’Annunzio.

La galleria d’altronde, proprio perché luogo di passaggio, genera superstizioni e leggende storiche connesse a un luogo di transito, dove è raro fermarsi a lungo.

La galleria di Sistiana

Rientra nella categoria la prima galleria che accoglie il visitatore, a Sistiana: la Rivista mensile della città di Trieste riconosceva già, nel settembre 1928, il valore turistico della Costiera: «Vertiginose pareti di roccia d’un candore niveo che salgono a grande altezza; a mare I’incomparabile spettacolo del mare azzurro incorniciato dal lontano azzurreggiare delle colline istriane, mentre a destra l’orizzonte marino sembra aprire una breccia immensa verso l’infinito».

La galleria di Sistiana si collocava allora «dove la strada non strapiomba sul mare» e «la montagna declina ripida, ma inghirlandata di vigneti ubertosi e d’alberi fruttiferi».

Secondo una diffusa diceria la roccia presenta, uscendo dalla galleria da Trieste, nella parte in alto una silhouette chiaramente umana. Nel 1928 i triestini vi riconoscevano Benito Mussolini; dal secondo dopoguerra si è preferito vedervi Dante, omaggiato dalla roccia del Carso.

Proprio all’ingresso della galleria naturale, in direzione Trieste, è possibile scorgere un abbozzo dei fasci littori scolpiti nel 1928 nella pietra. E poi la tradizione popolare, con i tre colpi di clacson benauguranti per chi esce in auto dalla città.

Galleria Sandrinelli

Proseguendo verso Galleria Sandrinelli viene spontaneo alzare lo sguardo verso Scala dei Giganti: e proprio sulla mensola ai lati della balaustra e sui pezzi all’angolo si rinvengono scolpiti i lumi dei minatori e le fiamme delle mine con cui si scavò nelle viscere della collina.

Fu un omaggio, da parte dei Berlam, verso gli che realizzarono la prima grande galleria di Trieste.

Galleria di Montebello

Ė possibile infine osservare, giungendo alla Galleria di Montebello, come già durante la Seconda guerra comparisse il progetto di un unico tunnel. Il 12 febbraio 1944, durante il periodo dell’Operationszone Adriatisches Küstenland, Il Piccolo riportò di un’inaugurazione alla presenza del supremo commissario del Litorale Adriatico: la Galleria di viale Sonnino, vecchio nome di viale D’Annunzio, era lunga «720 metri rispetto ai 400 di Sandrinelli e San Vito» e nell’occasione i gerarchi e le autorità militari la percorsero con «un rudimentale trenino in miniatura composto da alcuni carrelli, sui quali gli invitati hanno preso posto per compiere per la prima volta il viaggio intero della galleria».

Il primo abbozzo di galleria, diviso tra i due rifugi, aveva richiesto il lavoro di 400 operai. Immaginando un allargamento del tunnel e un uso civile si prospettava all’epoca un ascensore pubblico per Montebello con pozzo di ventilazione e persino, a metà percorso, «locali di conforto quali un ristoratore o un bar».

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