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Ucraina: il sostegno armato degli Usa e l’incessante tributo di sangue



In questo lungo periodo segnato da intensi sviluppi geopolitici e militari, la situazione in Ucraina e il coinvolgimento internazionale continuano a evolversi rapidamente. Tuttavia, la realtà crudele e inesorabile è che in Ucraina si continua a morire. Gli Stati Uniti, nel loro incessante supporto all’Ucraina, continuano a fornire armi. “L’amministrazione Biden sta annunciando un nuovo significativo pacchetto di aiuti per l’Ucraina”, ha riferito la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre mercoledì scorso durante un briefing. Questo pacchetto, del valore di oltre 2,3 miliardi di dollari “include missili per i sistemi di difesa aerea ucraini, munizioni per sistemi missilistici a lancio multiplo HIMARS, proiettili di artiglieria e altre capacità urgentemente necessarie”, ha specificato Jean-Pierre. Inoltre, sono compresi finanziamenti “che il Dipartimento della Difesa utilizzerà per acquistare missili per i sistemi di difesa aerea Patriot e NASAMS”, ha aggiunto la portavoce statunitense.

Mentre le armi continuano ad affluire e le risorse vengono investite, è inevitabile chiedersi: a quale prezzo? Ogni nuovo pacchetto di aiuti e ogni nuovo sviluppo militare non fanno che aumentare il numero di vite spezzate, di famiglie distrutte e di un paese devastato dalla guerra. Il costo umano di questo conflitto è immenso, e la domanda persiste: quanto ancora si dovrà sacrificare? Le implicazioni di questo sostegno non sono solo militari ma anche politiche. Secondo un’analisi di Politico, se Donald Trump dovesse tornare alla presidenza degli Stati Uniti, potrebbe proporre a Vladimir Putin un veto sull’ingresso dell’Ucraina nella NATO in cambio della pace. Trump sarebbe anche pronto a negoziare la cessione di territori ucraini alla Russia per porre fine al conflitto, una notizia che però è stata smentita dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il presidente turco Erdogan, nel frattempo, ha incontrato Putin nel tentativo di mediare la pace, ma il Cremlino ha respinto il suo ruolo di mediatore.

Analizzando cronologicamente i fatti, il 2 luglio, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha visitato Kiev per la prima volta dall’inizio dell'invasione russa, incontrando il presidente ucraino Vladimir Zelensky. Orbán è il secondo leader di un paese dell’UE a recarsi a Mosca dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, seguendo il cancelliere austriaco Karl Nehammer. Durante i colloqui, Orbán ha suggerito a Zelensky di dichiarare un cessate il fuoco immediato lungo la linea di contatto con l’esercito russo. “Ho chiesto al presidente ucraino di pensare se possiamo cambiare l'agenda, accelerare i negoziati di pace prevedendo prima un cessate il fuoco”, ha dichiarato Orbán in un comunicato stampa. Tuttavia, l’Ucraina, per voce di Andriy Yermak, capo dell’Ufficio del presidente ucraino, ha affermato che Kiev ascolterà qualsiasi consiglio su come raggiungere una “pace giusta”, ma non è pronta a compromettere valori fondamentali come indipendenza, libertà, democrazia, integrità territoriale e sovranità. Secca la risposta della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova la quale, su Radio Sputnik, ha commentato: “La retorica pacifista di Kiev non è altro che una facciata, mentre l’Ucraina continua a perseguire l’obiettivo di infliggere una sconfitta strategica alla Russia imposta collettivamente dall’Occidente”. Nonostante le resistenze ucraine e le reazioni internazionali contrastanti, la visita di Orbán a Kiev ha comunque segnato un tentativo di mediazione.

Intanto, il 3 luglio, il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping si sono incontrati ad Astana, in Kazakistan, alla vigilia del vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO). In tale occasione, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov ha riportato: “Putin ha ribadito l’inutilità di qualsiasi negoziato per risolvere la situazione in Ucraina senza la partecipazione della Russia”. Il giorno seguente, Viktor Orbán è arrivato a Mosca. Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, ha dichiarato che “la visita di Orbán a Mosca rappresenta un passo verso la pace. Gli ultimi due anni e mezzo hanno dimostrato che questa guerra non ha soluzione sul campo di battaglia. Per porre fine alle sofferenze delle persone è necessario cessare il fuoco e avviare i negoziati di pace il prima possibile”. Sempre sul viaggio di Orbán, il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha voluto precisare che il primo ministro ungherese non rappresenta gli interessi dell’Unione Europea a Mosca: “La visita di Viktor Orban a Mosca riguarda esclusivamente le relazioni bilaterali tra Ungheria e Russia”, ha riportato. Eric Mamer, portavoce della Commissione europea, ha sostenuto questa posizione, affermando che Orbán non ha coordinato la sua visita in Russia con la Commissione europea e che il viaggio “mina l’unità dell’UE”. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha aggiunto: “Le concessioni non fermeranno Putin” e ha rimarcato che “solo l’unità e la determinazione apriranno la strada a una pace globale, giusta e duratura in Ucraina”. Va ricordato che dal primo luglio l’Ungheria ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Unione europea.

Anche il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha commentato l’incontro di Orban con Putin, sottolineando che durante i negoziati con la leadership russa, Orban “rappresenta il suo Paese, non la NATO”. Stoltenberg ha aggiunto che Orban aveva informato in anticipo la NATO del suo viaggio e che ci sarà l’opportunità di discutere i dettagli dell’incontro al vertice di Washington della prossima settimana.

Nel frattempo, l’Ucraina ha continuato a subire ulteriori attacchi. Il 4 luglio, Vyacheslav Gladkov, governatore della regione di Belgorod, ha riportato che “tre villaggi sono stati bombardati dall’esercito ucraino, causando ferite a tre persone”. Inoltre, “due UAV ucraini sono stati abbattuti nella regione di Bryansk”. A seguito di un attacco missilistico russo, un caccia MiG-29 ucraino è stato distrutto presso l’aeroporto di Dolgintsevo. Nella regione di Zaporizhia, due persone sono state uccise e un’altra ferita in attacchi russi. In tutto questo scenario, la difesa russa ha visto un significativo aumento nella produzione di equipaggiamenti e munizioni militari. Sergey Chemezov, amministratore delegato della holding statale Rostec, ha dichiarato che “l’esercito russo ha ricevuto una vasta gamma di nuovi equipaggiamenti militari nel 2023”. Secondo Topwar.ru. le entrate dell’azienda sono aumentate di un terzo rispetto al 2022, raggiungendo quasi 32 miliardi di euro. La produzione di artiglieria in Russia supera di tre volte quella combinata di Stati Uniti ed Europa.

La Cina ha contribuito significativamente, fornendo componenti critici per la produzione di armi. Meduza – un’importante piattaforma di notizie indipendente con sede in Lettonia – il mese scorso ha evidenziato che “le esportazioni cinesi di nitrocellulosa verso la Russia sono raddoppiate nel 2023, un materiale a duplice uso necessario per produrre munizioni. Solo nel 2022, Pechino ha esportato poco più di 700 tonnellate di nitrocellulosa in Russia, ma nel 2023 ha fornito oltre 1.300 tonnellate”. In pratica, la Cina ha rappresentato il 90% delle importazioni russe di beni che rientrano nella lista di controllo delle esportazioni ad alta priorità del Gruppo dei Sette. Secondo altre fonti, l’Iran è un altro membro critico dell’asse che sfida la NATO, fornendo alla Russia munizioni Shahed utilizzate in pacchetti d’attacco insieme a missili ipersonici, da crociera e balistici. All’inizio del 2023, quasi il 60% degli attacchi russi includevano di fatto droni iraniani. Anche la Corea del Nord è un fornitore fondamentale per la Russia, avendo spedito fin dal 2023 migliaia di container di proiettili di artiglieria e missili balistici. Per decenni, DTIB (la base tecnologica e industriale della difesa della Russia), come le altre industrie del paese, è dipesa dalle forniture estere per la manutenzione delle macchine utensili. Carnegie Endowment for International Peace di recente ha riportato che “dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, le sole macchine utensili hanno rappresentato quasi il 40% dell’aumento annuale delle esportazioni cinesi di prodotti a duplice uso, anche secondo le dubbie statistiche ufficiali della Cina. Inoltre, i droni disponibili in commercio come i quadricotteri cinesi DJI hanno svolto compiti militari critici per le formazioni di combattimento russe, che vanno dalle missioni di intelligence, sorveglianza, acquisizione di bersagli e ricognizione (ISTAR).

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